Lasciami
stare, dice lei sgarbatamente, mentre nello stesso momento sua madre sta
cercando in modo goffo di aiutarla a sollevarsi dal pavimento lungo cui incomprensibilmente
è andata a cadere. Il tappeto è soffice, ed è quindi chiaro come non si sia
fatta assolutamente nulla rotolando dalla sedia, e forse proprio per questo il
gesto le risulta praticamente insopportabile, quasi un falso, come se avesse appena
sentito dire proprio dalla bocca di sua madre che queste cose possono succedere
per esempio soltanto quando si è completamente ubriachi, e non si riesce a
contenersi neppure entro il limite dignitoso del reggersi in piedi per proprio
conto. Non c’è più niente da aggiungere, spiega poi senza tornare neanche a guardarla,
rialzandosi in modo frettoloso. Queste sono le tue scelte personali, a me non riguardano
per nulla: posso soltanto prenderne atto.
La
madre osserva con apparente distrazione l’orologio, forse per cercare di
mostrare indifferenza: in ogni caso sapeva quasi fin dall’inizio che non
avrebbe assolutamente potuto contare su di lei, e che all’udienza finale per la
sua causa di divorzio non sarebbe mai venuta a testimoniare contro suo padre.
Ormai sei grande, le dice subito con falsa retorica, ogni tua decisione non può
essere altro che ben ponderata. Sono anni che tra loro non c’è più un vero
scambio di parole che non sia dettato da una punta d’astio, da durezza, e anche
mancanza quasi assoluta persino di apparente affetto. La madre pensa ovviamente
che questo sia soltanto frutto di ciò che è stato inculcato a sua figlia in sua
assenza, e certe volte le pare addirittura che ogni incomprensione tra di loro ormai
sia del tutto irriducibile. Così guarda sua figlia con un sorriso di
circostanza, come a evidenziare che in considerazione della risposta ricevuta il
loro colloquio è praticamente terminato, e l’altra prontamente, come punta sul
vivo da quel modo evidente di osservarla con distacco, si alza dalla sedia a
fianco del tavolo dove si erano sistemate, e senza tornare a volgere gli occhi
verso di lei, prende lo zainetto preparandosi in fretta per andarsene.
Aspetta,
dice sua madre quando lei è già nel corridoio di quell’appartamento. Volevo
comunque darti i soldi per la rata del tuo corso, le spiega cercando di
mostrarsi forse migliore di come probabilmente le è apparsa fino adesso. Hai il
numero di conto su cui versare, dice la figlia quasi con sprezzo; puoi usare
quello. Va bene, fa lei, cercando adesso di assumere modi come da animale
ferito; a me basta che tu sia contenta delle tue scelte, e che non abbia in
seguito da dispiacertene. Ma certo, fa
lei con il piglio troppo deciso per non lasciar immaginare al contrario un
percorso forse confuso e poco ponderato.
Quindi
apre il portoncino, ed un vago senso di fresco e silenzioso la pervade. Si
volta, come cercando di ricordare cosa possa aver lasciato dietro sé, ma sua
madre prende quel gesto come fosse quasi un piccolo ripensamento, così le
sfiora un braccio, e cerca di abbracciarla, come poche volte è già successo. La
figlia praticamente la lascia fare, forse sentendosi come presa alla
sprovvista, e mentre sente quella pelle di sua madre morbida e un po’ fredda,
ha un attimo di forte esitazione. Resta ferma, in piedi sulla soglia, e senza
guardarla prova comunque una forte carica emotiva. Singhiozza, senza che lo
voglia, e sua madre la stringe ancora più a sé. Ma infine scappa, giù di corsa lungo
le scale, senza neanche voltarsi per un attimo; ed un vapore leggero pare quasi
sollevarsi dai gradini, come se nulla di reale potesse avere un seguito dai
gesti o dalle sue parole.
Bruno
Magnolfi