sabato 30 luglio 2016

Vapore freddo.

            
            Lasciami stare, dice lei sgarbatamente, mentre nello stesso momento sua madre sta cercando in modo goffo di aiutarla a sollevarsi dal pavimento lungo cui incomprensibilmente è andata a cadere. Il tappeto è soffice, ed è quindi chiaro come non si sia fatta assolutamente nulla rotolando dalla sedia, e forse proprio per questo il gesto le risulta praticamente insopportabile, quasi un falso, come se avesse appena sentito dire proprio dalla bocca di sua madre che queste cose possono succedere per esempio soltanto quando si è completamente ubriachi, e non si riesce a contenersi neppure entro il limite dignitoso del reggersi in piedi per proprio conto. Non c’è più niente da aggiungere, spiega poi senza tornare neanche a guardarla, rialzandosi in modo frettoloso. Queste sono le tue scelte personali, a me non riguardano per nulla: posso soltanto prenderne atto.
            La madre osserva con apparente distrazione l’orologio, forse per cercare di mostrare indifferenza: in ogni caso sapeva quasi fin dall’inizio che non avrebbe assolutamente potuto contare su di lei, e che all’udienza finale per la sua causa di divorzio non sarebbe mai venuta a testimoniare contro suo padre. Ormai sei grande, le dice subito con falsa retorica, ogni tua decisione non può essere altro che ben ponderata. Sono anni che tra loro non c’è più un vero scambio di parole che non sia dettato da una punta d’astio, da durezza, e anche mancanza quasi assoluta persino di apparente affetto. La madre pensa ovviamente che questo sia soltanto frutto di ciò che è stato inculcato a sua figlia in sua assenza, e certe volte le pare addirittura che ogni incomprensione tra di loro ormai sia del tutto irriducibile. Così guarda sua figlia con un sorriso di circostanza, come a evidenziare che in considerazione della risposta ricevuta il loro colloquio è praticamente terminato, e l’altra prontamente, come punta sul vivo da quel modo evidente di osservarla con distacco, si alza dalla sedia a fianco del tavolo dove si erano sistemate, e senza tornare a volgere gli occhi verso di lei, prende lo zainetto preparandosi in fretta per andarsene.   
            Aspetta, dice sua madre quando lei è già nel corridoio di quell’appartamento. Volevo comunque darti i soldi per la rata del tuo corso, le spiega cercando di mostrarsi forse migliore di come probabilmente le è apparsa fino adesso. Hai il numero di conto su cui versare, dice la figlia quasi con sprezzo; puoi usare quello. Va bene, fa lei, cercando adesso di assumere modi come da animale ferito; a me basta che tu sia contenta delle tue scelte, e che non abbia in seguito da  dispiacertene. Ma certo, fa lei con il piglio troppo deciso per non lasciar immaginare al contrario un percorso forse confuso e poco ponderato.
            Quindi apre il portoncino, ed un vago senso di fresco e silenzioso la pervade. Si volta, come cercando di ricordare cosa possa aver lasciato dietro sé, ma sua madre prende quel gesto come fosse quasi un piccolo ripensamento, così le sfiora un braccio, e cerca di abbracciarla, come poche volte è già successo. La figlia praticamente la lascia fare, forse sentendosi come presa alla sprovvista, e mentre sente quella pelle di sua madre morbida e un po’ fredda, ha un attimo di forte esitazione. Resta ferma, in piedi sulla soglia, e senza guardarla prova comunque una forte carica emotiva. Singhiozza, senza che lo voglia, e sua madre la stringe ancora più a sé. Ma infine scappa, giù di corsa lungo le scale, senza neanche voltarsi per un attimo; ed un vapore leggero pare quasi sollevarsi dai gradini, come se nulla di reale potesse avere un seguito dai gesti o dalle sue parole.


            Bruno Magnolfi   

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