Sono perfettamente cosciente di ciò
che mi viene riferito in questa stanza disadorna; naturalmente ascolto tutto
quanto con molta attenzione ed intanto cerco di comprendere quale persona sia
proprio quella che sembra aver agito esattamente come se fosse un’altra me
stessa pur non essendolo. Abbasso la testa, non guardo nessuno, peraltro sono
tutti uomini qua dentro esclusa me, e cerco con attenzione di non fare alcun
accenno alle loro accuse, soprattutto evitando ogni espressione troppo
esaustiva a margine delle parole che sottolineano tutti i fatti messi in
elenco. Si comprenderà penso, prima o dopo, che non sono stata io a compiere
quei gesti e quegli atti negativi. Ne sono certa, senza ombra di dubbio, per
questo adesso non ho proprio niente da dire a mio discapito.
Non capisco neppure come la mia
identità, o meglio quella di una donna che mi assomiglia molto, possa essere
entrata in questa storia; mi pare impossibile che qualcuno mi sospetti di
comportamenti così aberranti come dicono tutti, quando io non ne ricordo
neppure una minima parte, tanto che pur essendo convinta che venga detta la pura
verità sui fatti e su ogni vicenda, e che tutto quanto sia veramente accaduto, penso
che tutto deve essere stato causato semplicemente da una persona che magari mi
assomiglia e basta. Chiudo gli occhi: non è quasi possibile che possa essere
accusata davvero di cose di quel genere, e forse per questo, per l’assurdità
delle imputazioni che loro riferiscono, mi viene quasi da ridere. Rido difatti,
anche sguaiatamente, senza decidere di fermarmi neppure quando mi invitano a
farlo, ed i presenti proprio per lo stesso motivo si guardano tra loro, forse
si formano così una qualche opinione più leggera nei miei confronti penso,
anche se evidentemente almeno per adesso non si fidano affatto delle cose che
tento di proporre a mio discapito.
Non sono io, dico alla fine, ed
adesso sono loro che si mettono a ridere, visto che queste persone conoscono
più cose nei miei confronti di quante almeno a tratti sembra ne sappia addirittura
io stessa. Forse c'è qualcuno che ha rubato la mia identità dico, probabilmente
c’è una sosia di me che sta mettendomi deliberatamente in questa posizione così
difficile. Sembra un incubo, una storia impossibile messa in piedi per farmi quasi
credere di essere un’altra. Riprendo a ridere, cosa mi importa, nessuno può
farmi niente finché nego ogni addebito ed ogni responsabilità, anche se loro
sono dei bravi poliziotti.
Dicono che ormai non ci sono dubbi e
che io non possa fare altro che confessare, ma a me a queste parole viene
naturale volgere lo sguardo da tutta un’altra parte, e disinteressarmi di ogni
cosa. Loro scrivono, qualsiasi parola venga detta, anche quella appena
accennata, o magari solo suggerita, e forse anche i miei stessi pensieri
vengono tutti scritti dettagliatamente sulla carta. Poi una volta terminata la
relazione mi dicono di firmarla, ma io non voglio firmare niente dico ad alta
voce, e con questo ribadisco che tutto quanto hanno appena spiegato è
semplicemente riferito ad una persona che non sono io, ad un’altra donna
insomma. Si grattano la testa, dicono che adesso ricominceranno tutto
dall’inizio, così partono a chiedermi il nome, il sesso, la data di nascita, il
posto dove abito, ed è in questa maniera che io adesso mi invento di sana
pianta un'identità che assolutamente non corrisponde a nessuna delle cose che
loro dicono di me, riferendo dei connotati che sono di una qualche persona che
nessuno neppure conosce, naturalmente perché frutto soltanto di questa mia fantasia.
Ed improvvisamente cambia tutto. Mi
credono adesso, spiegano che si sono
convinti, dicono che a loro dispiace, ma che c'è stato un evidente errore di
persona, poi si alzano, mi stringono la mano uno dopo l’altro, lasciano
semplicemente che mi allontani, che vada via da lì. Esco quindi da quella
stanza maledetta, e mi sento quasi incredula anche se contenta: non sono mai stata così orgogliosa
di me stessa come adesso penso; meglio cambiarsi personalità ogni tanto, rifletto
mentre sono già arrivata in strada, almeno quando è possibile.
Bruno Magnolfi
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