Sono immobile, non
riesco più neppure ad alzarmi da questa panchina. Mi hanno piazzato in un
pubblico giardinetto, ma non c’è nessuno qua attorno, proprio nessuno con cui
scambiare almeno quattro chiacchiere. Ma in fondo non ha alcuna importanza, ho
con me i miei pensieri, e tanto mi basta. Però sono confuso, non riesco a
capire dove sia stato l’errore, in quale esatto momento abbia sbagliato la
scelta. Mi guardo attorno: ci sarà pure una possibilità nel finale penso, un
momento salvifico in cui qualcuno viene a soccorrermi e a riconoscere qualcosa
di me, qualcosa che sia risultato almeno positivo, che valga la pena di ricordare.
Torna la mia badante,
dice che non ha trovato nessuno che le vendesse una bottiglietta d’acqua, ma in
ogni caso adesso fa troppo caldo ed è quasi l’ora di tornarcene a casa. La
guardo per un attimo, poi annuisco ed osservo la fila degli alberi più avanti.
Non importa neppure che pensi rifletto, ogni cosa va al proprio posto anche
senza di me: tra poco nella mia stanza guarderò le notizie del giorno alla
televisione, immaginerò altri mondi, altri scenari lontani il più possibile dai
miei poveri disastri, e lascerò come sempre che mi accudiscano, senza tentare
alcunché di diverso.
Ci muoviamo,
lentamente, lasciandomi sorreggere, i passi uno avanti a quell’altro, quasi
fossero in questo momento la cosa più importante del mondo. Poi ci fermiamo,
improvvisamente: c’è qualcosa di cui mi ricordo, devo appuntare su un foglio
questo pensiero, così la badante mi aiuta con un pezzo di carta, la matita poi
la porto sempre con me. C’è davvero un errore che riconosco, adesso mi è
chiaro. Per la fretta, senz’altro, la superficialità, i miei soliti difetti.
Avrei dovuto comportarmi in un’altra maniera, essere più diretto, puntare
soltanto allo scopo finale. Ho perso del tempo invece, ho creduto forse di
poter recuperare qualcosa subito dopo, e invece non è andata così, ma forse già
lo sapevo che lo scenario sarebbe cambiato velocemente, e che certe occasioni
non si ripresentano mai.
Non è servito neppure pensare che poteva andar
meglio la volta successiva, perché poi tutte le volte è diverso, i fatti non si
fanno vedere mai nella stessa maniera. C'è stata una buona occasione per
cambiare tutte le carte sul tavolo, ecco come va detto, ma quella occasione io
l’ho lasciata sfumare, questo adesso è quello che devo appuntare sul foglio.
Non c'è da provare rimpianti, anche questo fa parte di me, di questo strano
carattere, del mio aver lasciato scorrere in un certo modo le cose, come se
forse il giorno successivo a tutto quanto fosse stato il momento più adatto.
La mia badante non sa più cosa pensare di me: un
vecchio rompiscatole rancoroso come se ne trova ben pochi, ma non so cosa
farci, sono in questa maniera, ci vuole pazienza. Non ce l'ho con nessuno, le
cose non sono andate come volevo, ma la colpa è la mia, tutto è dipeso soltanto
da me, e riconoscerlo adesso mi pare quasi un sollievo. Cosa importa, vorrei
ancora scrivere su questo foglio, se si scava all’interno ogni persona porta
con sé un proprio errore, una mancanza grave che il tempo magari ha cercato di
cancellare, o che ha reso accettabile. Sono esattamente come gli altri, ecco;
da questo punto di vista niente di fondamentalmente diverso.
Siamo arrivati, entriamo, adesso accenderò la
televisione per le notizie, la mia badante si eclissa, i miei pensieri restano
ancora con me. Eppure lo sbaglio c’è stato, e se penso intensamente a tutto
quanto provo ancora un po’ di vergogna, di rabbia, e volontà di riscatto. Non
posso annullare questa mia riflessione, tanto vale cerchi di allearmi con lei,
di plasmarla fino quasi a farne il pensiero principale da cui ripartire. Già,
perché qualsiasi errore prima o dopo si può sempre correggere.
Bruno Magnolfi
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