Non c'è nient’altro
oltre questa stupida fila di baracche, dico al giornalista. Soltanto dei campi che sono stati abbandonati oramai
da diversi decenni, e che nessuno tra coloro che
abitano qua attorno ha avuto più la volontà di
coltivare. Certe sere, una volta finito di mangiare, esco di casa con in mano una torcia, e faccio un giro tra
i fossi e tra tutte le erbacce secche e
polverose che odorano di paglia e spazzatura, tanto per rendermi conto una
volta di più del silenzio che persiste in tutta questa zona, e anche del niente
che sembra persino abbondare da queste parti.
Quando rientro poi cerco sempre di serrare
bene questa porta pur precaria com'è, poi a volte metto anche dei pannelli di lamiera alle
finestre, ed infine
cerco di dimenticare che là fuori prosegue ad esserci davvero tutto quel nulla
che ho veduto poco prima.
Ci si affeziona a tutto,
dice mia moglie qualche volta, forse anche per dare a me e a lei un certo
incoraggiamento, ma io so che questo non è certo quello che fino a qualche anno
fa avrei voluto per noi due. Stare al margine
di qualcosa può essere sicuramente possibile se conservi la invidiabile capacità
di non pensarci. Noi però in questo momento non
possiamo proprio permetterci qualcosa
d’altro. Prendo la mia bicicletta scassata ogni mattina, e già alle prime luci dell’alba faccio rotta
verso quei palazzoni che si vedono laggiù sul fondo, dove inizia la città delle persone, quella in cui si
riesce ancora a ridere e a sentirsi magari degli individui.
Non me ne importa niente
di quello che gli altri possono pensare di me, dico ancora al giornalista, io
devo sopravvivere, è un mio istinto naturale, non posso lasciare che le mie
attitudini vengano sopraffatte da una spossatezza che non può portare mai da
alcuna parte. La sera con la mia torcia guardo i rospi che attraversano i
viottoli di questo posto infame, e certe volte ne seguo anche i percorsi, come
se mi portassero magari a scoprire qualcosa che al momento neanche posso
supporre. Non ho bisogno di descrivere proprio niente della mia giornata, è
tutto già definito nel concetto fondante degli ultimi del mondo, quelli che
possono solo migliorare se mai un piccolo colpo di fortuna li aiutasse.
Per questo continuo a
rovistare per delle ore dentro i cassonetti della spazzatura, e quando mi va con
la mia bicicletta arrivo fino alla discarica a cielo aperto verso l’autostrada,
per guardare anche lì in mezzo a tutto se mai ci fosse qualcosa di prezioso
gettato via da chi magari ha persino troppo per potersi ricordare di gestirlo
con un’attenzione più efficace. Cerco il ferro, il rame, qualche oggetto da
recuperare, ma quando poi torno alla mia baracca invidio i rospi sul viottolo
che non hanno i miei problemi, e non hanno certo bisogno di molto per tirare
avanti. Lo può scrivere, dico al giornalista: quella delle persone come me è
soltanto una sfortuna maledetta, una combinazione scalognata come quella di
essere nati dalla parte sbagliata tra tutte quante le persone, anche se alla
fine non voglio neppure lamentarmi; si fa l’abitudine anche alla miseria, dico
ancora, e forse è quasi meglio che sia capitata ad un individuo come me,
piuttosto cha a qualcuno con minori capacità di adattamento. Perché di un colpo
di sfortuna come il mio si può perfino scoppiare qualche volta, e lasciar
scritto poi che era impossibile vivere come i rospi.
Bruno Magnolfi
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