Ho raggiunto oramai
quarantacinque anni d'età, e sono perciò una donna matura, come si dice in
questi casi; eppure se guardo al mio presente mi pare di dover ancora arrancare
molto per riuscire a comprendere parecchie cose su ciò che mi circonda, e se
invece penso al futuro mi pare ci sia sempre qualcosa che ancora sfugga del
tutto ai miei proponimenti. Negli anni passati, quando ero molto giovane, ho
svolto il mestiere di segretaria, immediatamente dopo il raggiungimento del
diploma, rispettando orari e mansioni molto precise all'interno di un noto
studio commerciale cittadino in cui mi aveva introdotto mio padre tramite certe
vecchie conoscenze, soltanto però fino al momento di conoscere casualmente
l'uomo che nel giro di pochi mesi mi avrebbe chiesto di sposarlo, così in
seguito, quando si è profilata la possibilità di aiutarlo e sostenerlo nelle molteplici
occupazioni della carriera che aveva intrapreso, e di tenere in ordine per le
società di affari da lui controllate almeno la parte più semplice dei registri
contabili, ho smesso naturalmente di esercitare quel vecchio lavoro, ed ho
abbracciato prima di tutto il ruolo per me estremamente congeniale di madre di
famiglia, partorendo con gioia nel giro di poco tempo, a seguito della
cerimonia nuziale, una bambina deliziosa e biondissima a cui dedicarmi quasi
interamente, oltre a dirigere la casa elegante in cui sono subito andata ad
abitare, naturalmente organizzando ogni aspetto assieme al personale di
servizio, nella proprietà del mio signor marito, l’avvocato Carlo Neri. Alcune
amiche in quella occasione mi hanno velatamente criticato, sostenendo che per
una donna come me scegliere un ruolo lavorativo separato da quello del proprio
uomo sarebbe stato auspicabile, ma io mi sono subito disinteressata di ciò che
loro mi dicevano, e mi sono imposta di andare sempre avanti con queste mie
scelte personali, preoccupandomi solamente
della mia nuova vita.
Certe volte oggi ci
ripenso a questi argomenti, soprattutto in quelle giornate in cui mi sembra
quasi di interpretare un ruolo, di rivestire con la mia presenza semplicemente
un personaggio che tutto quanto intorno a me prosegue a caldeggiare come
necessario, e quella sensazione di avere perso durante questo tragitto almeno una
parte della mia personalità a vantaggio di una buona vita agiata e senza
affanni, resta un pensiero che sinceramente mi sfiora qualche volta, risultando
comunque subito accantonato nella mia mente dai fatti consueti di ogni giorno.
Mia figlia Franca è una ragazza intelligente e anche sensibile, non ho dovuto
faticare troppo con la sua personalità cercando di trasmetterle qualche buon
insegnamento, e quando lei affronta al pianoforte la Sonata n. 3 in fa minore
di Schumann, per esempio, sento che sta affiorando in lei la vera erede delle
mie speranze, forse anche di quelle che ho non ho mai rivelato a nessuno,
neanche a me stessa. Mi piace sentire scorrere la sua passione su quelle dita
apparentemente esili ma decise, ed anche se so quasi per certo che la musica
per lei rimarrà in seguito soltanto una parentesi giovanile, pur certamente di
grande intensità, lo stesso la incoraggio sempre nel perseguire le sue scelte.
Poi ieri torna a casa
con un piccolo manuale di armonie jazz, un libro come un altro, niente di
speciale, ma Franca inizia a ricercare sulla tastiera del nostro pianoforte
degli accordi strani, inconsueti, e a seguire un ritmo più moderno, qualcosa
che senz’altro sfugge a quanto le ho sempre sentito suonare fino a questo
momento. Non c'è niente di male, penso mentre ascolto le sue note dietro la
porta leggermente socchiusa. Si tratta di cercare dentro se stessi quello che
maggiormente si avvicina ai propri gusti; così proseguo ad ascoltarla a lungo,
anche per capire se in questo momento stia seguendo una partitura o se al
contrario suoni semplicemente una struttura di propria inventiva. Poi sento
scampanellare alla porta di ingresso, e i passi leggeri della nostra persona di
servizio che va lungo il vasto
ingresso per aprire. Riconosco subito la voce e i
modi: è Carlo, mio marito, che rientra a casa come sempre, ed ecco che
contemporaneamente termina qualsiasi vibrazione pianistica della musica di
Franca. Allora chiudo la porta e vado svelta nel piccolo bagno della mia camera
da letto: forse ho capito, rifletto mentre mi guardo dentro al grande specchio
illuminato; però non so ancora comprendere il motivo per cui i miei occhi si
riempiono di lacrime.
Bruno Magnolfi