giovedì 18 novembre 2021

Rapita e liberata.

 

            Adesso che lei è qui, accanto a me, proprio dentro la mia macchina, continuano a venirmi in mente una gran quantità di pensieri assurdi, insieme a certe idee addirittura malsane, insensate, e poi perfino a dei guizzi rapidissimi di pura pazzia. Naturalmente cerco di scacciare velocemente dalla mia testa tutte queste scariche di adrenalina, ma loro sembrano prenderla d’assalto, e poi la circondano, la riempiono, la paralizzano quasi, e a me non permettono neanche di riflettere nient’altro. Guido nervosamente l'utilitaria attraverso la città, lei ha già chiesto qualcosa sulla musica che tutti abbiamo ascoltato nel locale, forse soltanto per parlare un po’, ed io le ho risposto con parole isolate, frammentarie, come fossi fortemente concentrato su altri argomenti. Invece mi è piaciuto molto tutto il concerto di stasera, soprattutto l’incredibile capacità che ha mostrato Franca nello stare concentrata su quel suo pianoforte, ed infilare un suono dietro l'altro come se non avesse mai fatto altro che jazz in tutta la sua esistenza. L'ho amata mentre suonava, ho sentito di riuscire a respirare la medesima aria sua, come per una immedesimazione diretta in lei, nel suo talento, nel suo plasmare i suoi suoni, con quella incredibile sensibilità così reattiva nei confronti degli altri ragazzi del suo gruppo. Ma non posso dirle tutto questo, non troverei neppure le parole adatte, e poi devo essere freddo adesso, come se lei fosse per me una persona quasi del tutto estranea.

            Svolto rapidamente verso la periferia mentre guido, e Franca si accorge immediatamente che non siamo sulla direzione giusta, però non dice niente, lascia che sia io casomai a spiegarle tutto, perché è evidente che dovrò darle a un certo punto almeno una giustificazione di quello che sto facendo. Accelero, sono nervoso, lei si accorge benissimo del mio stato alterato, così mi chiede sottovoce, ma quasi con indifferenza, verso dove ci stiamo dirigendo, anche se io non le rispondo subito, e attendo ancora un po’, come per guadagnare tempo. Infine ci lasciamo alle spalle le ultime case di città con i lampioni stradali fiochi e radi, e dopo qualche altro metro, vado a fermare la mia macchina vicino ad un distributore automatico di benzina, dove c’è abbastanza luce, ma non si vede in giro anima viva. <<Devo rapirti>>, sbotto senza guardarla mentre spengo il motore. Lei ride nervosamente. <<Stai scherzando>>, mi dice. Le getto un’occhiata: <<purtroppo non ho scelta>>, le faccio; <<tu rappresenti tutto ciò che io non sono; quindi devo osservarti, studiarti, capire molte cose di te; e poi farmi dare un bel po' di quattrini dalla tua famiglia>>.

            <<Sono stanchissima>>, fa lei; <<dai, per favore, portami a casa>>. Io intanto scendo dalla macchina, rapidamente prendo il suo zaino dal sedile e ne tiro fuori il cellulare. Compongo il numero, e camuffando la mia voce dico in fretta a chi risponde che Franca sta bene, ma non può tornare a casa. Poi riaggancio. <<Ti stai rovinando>>, dice Franca conservando una calma che adesso mi colpisce. <<Ti prenderanno subito, non potrai mai riuscire in una cosa di questo genere>>. <<Zitta>>, dico a voce alta mentre cerco di riflettere su quale sia il prossimo passo. Ci vorrà mezzo milione, penso, si potrebbe fare tutto in fretta, e già per domani ogni cosa tornerà al proprio posto. Lascio partire una seconda telefonata verso lo stesso numero, e adesso mi risponde il padre di Franca, lo riconosco subito, così dico alla svelta che deve mettere insieme la cifra che ho pensato, il prima possibile, avanti che a Franca succeda qualcosa di spiacevole. <<E nessuno provi a chiamare la polizia>>, sottolineo svelto; <<altrimenti succederà l’irreversibile>>. Poi riattacco.

            Franca adesso è spaventata, ha capito benissimo che faccio sul serio, che il meccanismo ormai è scattato, e che non posso più tornare indietro. Piagnucola tenendosi la faccia con le mani, e a me dispiace molto vederla così, mi piacerebbe quasi dirle che era uno scherzo, che è tutto a posto, che adesso può smetterla di piangere. Sono spaventato, non so neppure io cosa sia meglio fare, mi sento in una posizione in cui ogni scelta si fa più complicata. Per un attimo avevo pensato che le cose si sarebbero dipanate con facilità, come per una serie di suggerimenti concatenati l’uno all’altro, ma non è vero. Rientro in macchina, avvio il motore, e a tutta velocità arrivo fino alla villa dove abitano i genitori di Franca. Mi fermo a quasi cento metri, le dico di scendere, e che sia lei ad inventare qualcosa di plausibile, che non faccia troppo male a nessuno di noi. Franca prende lo zaino, il cellulare, la custodia con la sua tastiera; poi scappa verso casa sua.

 

            Bruno Magnolfi         

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