Ho
sempre avuto paura dei cambiamenti, e per questo nel corso dei miei anni ho spesso
cercato, per quanto possibile, di evitare di trovarmi di fronte a scelte troppo
importanti. Dopo il diploma ho iniziato subito a lavorare nell'amministrazione
dell'impresa in cui mi trovo in forza ancora adesso, e dove con ogni
probabilità rimarrò fino al mio pensionamento, anche se nei primi anni di
lavoro esprimevo un evidente maggiore entusiasmo nella mia attività, soprattutto
perché credevo sinceramente di poter fare carriera, e prima o dopo di essere
promosso dai miei superiori a dei ranghi di responsabilità. Invece, per una
ragione o per l'altra, ho continuato a svolgere sempre le medesime mansioni, e
l'unica spinta morale che ho ricevuto, già diversi anni dopo il mio matrimonio,
è stata quando una delle mie colleghe della sede ha iniziato a lanciarmi dei
larghi sorrisi, tanto che alla fine le ho chiesto se ci potessimo vedere fuori
dall'orario di lavoro. I miei figli erano già nati, naturalmente, ed ogni
attenzione di mia moglie in ambito familiare era assolutamente riservata a
loro, e che per me si profilavano spesso delle fasi di evidente prostrazione,
tanto che mi ritrovavo certe volte a svolgere in ufficio delle ore di
straordinario, anche se non ce n'era tutta questa necessità. Lei non parlava
molto, però con i suoi modi riempiva quel vuoto che avevo iniziato a provare
dentro di me. Mia moglie, quando tornavo a casa, sembrava come sempre la donna
più felice del mondo, e non si accorgeva di niente, anche se inventavo sempre
nuove scuse per incontrarmi con la mia collega. Quando tutto questo infine
terminò, considerato che lei si era stufata di incontrarmi di fretta solo una
volta o due la settimana, all'improvviso mi sentii quasi alleggerito, come se,
per tutto quel tempo in cui era andata avanti la faccenda, il mio impegno fosse
quasi stato sorretto soltanto grazie alla sua volontà. Proseguii comunque a
farmi avanti ogni volta che c'era la necessità di svolgere in ufficio qualche
ora di lavoro straordinario, soprattutto per non tornare mai a casa troppo
presto, anche se ultimamente ho preso a frequentare un locale dove mi fermo per
qualche birra e per passare il tempo.
In
seguito, comunque, le cose sono andate avanti in una maniera che potrei
definire normale, con i figli che sono cresciuti anno dopo anno, ed un
andamento direi quasi ordinario della vita familiare. Qualche volta ho pensato
di allontanarmi da casa, di prendermi almeno delle pause da queste giornate così
monotone, ma non ho mai avuto il coraggio di fare comprendere a mia moglie che
io non sono del tutto felice. Così poco per volta mi sono abituato a fingere il
comportamento di una persona piuttosto soddisfatta, e lei comunque non mi
chiede quasi mai nulla sul mio vero stato d'animo. Ho provato ad immaginare che
cosa lei possa desiderare da me quando mi trovo tra le mura domestiche, ma non
sono riuscito mai ad interpretare del tutto i pensieri di mia moglie in questo
senso. Lei sembra sempre accettare con gioia tutto ciò che avviene, anche se io
non credo sia sempre possibile, e perciò in qualche caso mi ritrovo a
chiederle: <<perché non ce ne andiamo da qualche parte, ad esempio il
prossimo fine settimana, anche soltanto per rilassarci un po', per svagarsi, o
prendere fiato, soltanto io e te; che cosa ne dici?>>. Ma lei sorride,
spiega in due parole che non potrà mai lasciare i figli a casa da soli, dato
per scontato che alla loro età non verrebbero di certo insieme ai loro
genitori, ma come se non fossero in grado di cavarsela da soli. Forse ha
ragione, dietro ai sorrisi che fa quando afferma queste cose, ed io sono
portato a fare sempre più spesso ciò che dice lei, senza avanzare quasi mai delle
diverse soluzioni. A me pare che i nostri figli dimostrino caratteri ben
definiti, e non abbiano certo bisogno dei loro genitori per mandare avanti le
cose di cui si interessano, ma per mia moglie restano comunque i suoi cuccioli
ancora da servire e da coccolare.
Qualche
volta provo invidia per la grande capacità che ha lei di conservare sempre
questo atteggiamento appassionato per chi si trova attorno, ma nella maggior
parte dei casi mi prende un moto di rabbia che devo sempre cercare di
reprimere, fino quasi a provare una vaga depressione quando devo starle accanto
per un tempo maggiore del dovuto. In questo senso il fine settimana per me è
sempre deleterio, e mi trovo costretto ad inventarmi costantemente qualcosa di
cui occuparmi, e che mi trascini fuori da casa, anche se non ne avrei del tutto
voglia, proprio per non provare la sensazione di asfissìa che mi provoca il suo
costante preoccuparsi di me e soprattutto dei nostri figli. Anche loro mi
sembra abbiano iniziato a sbuffare qualche volta di questo sentirsi circondati
dal suo attaccamento, ma le difese che ambedue con naturalezza riescono ad
elaborare, mi appaiono sempre superiori alla mia scarsa capacità di sfuggire ad
ogni sua insistente espressione d’affetto.
Bruno
Magnolfi
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