Il nome di battesimo di nostro padre
è Achille, ma lui non si è mai mostrato troppo contento di essersi chiamato
così, forse per via del proprio carattere schivo che fa un po' a pugni con un
nome anche troppo altisonante come il suo. In ogni caso anche la mamma
difficilmente lo chiama in questo modo, scegliendo piuttosto di rivolgersi a
lui con i vari sostantivi spesso in uso nelle famiglie, come babbo, amore,
papà, tesoro, oppure nei casi più seri chiamandolo simpaticamente per cognome.
Quando eravamo piccoli, di domenica mattina, ancora adesso ci ricordiamo
facilmente come nei casi in cui la giornata fosse apparsa sufficientemente
solatia, lui ci portasse a scorrazzare presso un giardinetto poco lontano da
casa, a margine del quale si sedeva tranquillo sopra una panchina, scorreva i
titoli di un immancabile quotidiano, per tenerci d’occhio da quella postazione,
difficilmente intervenendo nei nostri giochi di bambini. Più avanti, comunque,
questa consuetudine naturalmente fu presto persa. Dopo il compimento dei nostri
dieci anni, all'incirca, iniziò invece il periodo delle gitarelle festive in
macchina con tutta la famiglia. La più entusiasta ed operosa, in quei casi, naturalmente
si dimostrava subito nostra madre, che preparava già dal giorno avanti una grossa
cesta piena di cose da mangiare, e poi sistemava in una borsa capiente tutto
ciò che sarebbe potuto tornare utile per qualsiasi eventualità, compresi dei
mantelli cerati in caso di pioggia improvvisa. Si partiva in genere per una
meta piuttosto vaga nella mente di nostro papà, un luogo comunque che non fosse
distante dalla nostra casa più di qualche decina di chilometri, perché a lui
non piaceva guidare troppo a lungo l’utilitaria che avevamo, e così ci si
ritrovava immancabilmente, dopo qualche breve sosta casuale in certi paesini
isolati, su qualche terreno erboso sotto a qualche albero, a rilassarsi
sdraiati sopra una larga coperta e ad inventare qualche gioco semplice.
<<Bambini>>, diceva la
mamma tanto per spingerci a fare qualcosa; <<andate a cercare dei fiori,
così ne riportiamo a casa un mazzetto tra quelli più belli che riuscirete a trovare>>.
Oppure:<<da quella parte deve esserci un ruscello, andate a vedere se è
proprio così>>. O anche: <<chi di voi due riesce per primo a
toccare quell'albero laggiù, e poi ritornare di corsa fino qui, avrà
vinto>>. Che cosa si vincesse, non era chiaro, in ogni caso ci
impegnavano molto in queste piccole competizioni, e la differenza d'età non
pareva mai né un vero vantaggio, né il contrario, per nessuno dei due. Se comunque
avessimo sudato troppo in questi nostri piccoli impegni, avremmo dovuto
metterci seduti all’ombra per almeno una mezz’ora, ed in quei casi nostra madre
tirava fuori qualche libro di favole che ci leggeva piacevolmente con voce
calma, mentre nostro padre come sempre si mostrava del tutto perso dietro ai
suoi pensieri. Nel ripensare a quei momenti, il tempo di quelle giornate
lontane appare oggi quasi vuoto di tutto, come se quei piccoli passatempi di
allora non avessero avuto alcun senso, se non quello di fingere un’armonia
familiare che forse neppure c’era, ma che noi bambini avremmo dovuto respirare
a pieni polmoni, perché tutto ciò, secondo i nostri genitori, sarebbe stato
estremamente utile alla nostra crescita.
Noi fratelli non abbiamo mai sentito
loro due alzare la voce per un qualche motivo, ed anche nei nostri confronti
non c'è mai stato bisogno di drastici provvedimenti per qualche marachella.
Nostra madre in quei casi diceva a bassa voce che quella certa cosa proprio non
dovevamo farla, e noi abbassavano lo sguardo, sentendoci già colpevoli di aver
fatto pensare qualcosa di brutto alla nostra mamma. Achille, in molti casi, si
limitava a sbuffare, senza neppure dirci niente, volgendo contemporaneamente lo
sguardo lontano, come se i suoi interessi reali fossero stati in un'altra
dimensione, o da altre parti, distanti comunque da dove ci trovavamo. Le prime
volte che uscimmo di casa da soli, noi due fratelli, lo facemmo con grande
titubanza, cercando di non creare alcuna difficoltà, e seguendo le indicazioni
di stare assieme e di aiutarsi l'uno con l'altro. Non ci voleva molto però, una
volta per strada, a dividerci ed andarsene ognuno per proprio conto, magari
dandoci un appuntamento preciso da rispettare, per ritrovarci insieme più tardi
prima di tornarsene a casa. Avevamo tra noi un’età diversa, quindi amici e
compagni diversi, dei differenti interessi, ed era impossibile proseguire a
stare troppo vicini come avrebbero voluto i nostri genitori. Probabilmente fu
proprio in quei momenti che iniziammo a non scambiarci più neanche le opinioni
che maturavano ogni giorno dentro alle nostre menti: ognuno aveva già iniziato
a portare avanti delle scelte strettamente individuali, ed anche se tutto
sommato eravamo ancora degli adolescenti, nessuno dei due faceva troppo conto
sull'altro per comprendere meglio ciò che in ogni giorno sempre di più ci
trovavamo di fronte, affrontando la realtà di ragazzi quali iniziavamo quasi ad
essere, come se fossimo dei figli unici, senza alcun fratello a rendere maggiormente
difficili le nostre giornate.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento