Da
un po' di tempo non ho più portato le figurine dei calciatori a scuola,
nonostante mi senta molto orgoglioso di aver quasi terminato la raccolta ed
aver ormai inserito praticamente quasi tutti i giocatori nelle loro corrette
postazioni all’interno delle pagine dell’album. Gli altri compagni della mia
classe invece sono molto indietro con le loro singole raccolte, e durante la
pausa di mezza mattinata in classe li osservo spesso di nascosto mentre cercano
di accaparrarsi i nominativi mancanti tramite i soliti scambi tra ragazzi. Poi
arriva questo mio compagno che mi pare non mi abbia mai neppure rivolto la
parola, e senza perifrasi mi chiede se possiedo la figurina del portiere
dell'Atalanta. Lo guardo, prendo tempo, gli dico che devo controllare, mi pare
di avere il doppione di quella figurina, ma non ne sono sicuro, lo avverto, e
nel caso potrei forse portarla a scuola per il giorno seguente. Lui fa un cenno
con la testa, conservando un’espressione seria e priva di sfumature, senza
dirmi neppure che cosa lui potrà concedermi nel cambio. Non avrebbe importanza,
rifletto da solo, sarei disposto persino a regalargliela se lui si comportasse
con me con gentilezza e gratitudine, però c’è una questione di orgoglio verso
cui non posso certo restare indifferente, così mi preparo mentalmente per
chiedergli in cambio almeno cinque figurine tra quelle più rare di tutta la
raccolta. Poi, ognuno degli scolari consuma una piccola merenda costituita
quasi sempre da certe schiacciatine ripiene di formaggio o di qualche salume
affettato, oppure da certe merendine già confezionate, come nel mio caso. Mi
alzo dal mio banco, girello per l’aula, ed infine esco in corridoio, dove,
restando alle spalle del ragazzo di poco prima, avverto la sua voce farsi
grande coi compagni mentre spiega che <<quello scemo domani mi porterà il
portiere dell’Atalanta>>.
Resto
immobile per un attimo, mentre qualcuno forse si aspetta di vedere in me
qualche reazione, infine decido che porterò ugualmente quella figurina al mio
compagno, soprattutto perché, dopo queste parole, non sopporterei di possedere
ancora quel doppione, e forse anche per dimostrare a tutti che sono uno di
parola, anche se gli altri probabilmente non meritano minimamente le mie
attenzioni. In nessun caso potrei comunque fargli un semplice regalo, rifletto,
considerato che tutti gli altri in questo caso verrebbero da me a chiedermi
qualche altra figurina che manca nella collezione di ciascuno di loro, ed io mi
troverei a disagio, incapace di accontentare tutti, e poi solo per essere alla
fine giudicato un povero scemo che non conosce neppure il valore delle cose che
possiede. La maestra, dopo che ho detto a tutti e a lei delle mie capacità di conoscere
alcune cose del mio futuro, non è più tornata su quell’argomento, ed anche i
miei compagni, dopo le loro risate a coronamento delle mie parole, non mi hanno
più chiesto alcuna spiegazione. Però io so per certo che tutti mi prendono per
uno mezzo svitato, uno diverso da loro, forse incapace di comportarsi in
maniera simile ai ragazzi della mia stessa età. Non trovo tutto questo qualcosa
di assolutamente inammissibile: credo che ognuno sia in condizioni di avere una
propria personalità, e al contrario di ciò che forse pensano i miei compagni, mi
sembra proprio che cercare di essere simile a tutti gli altri sia parecchio inaccettabile.
Probabilmente anche la maestra pensa qualcosa del genere, anche se in
considerazione del suo ruolo non farà mai un’ammissione del genere.
Infine,
suona la campanella al termine delle lezioni e tutti ce ne andiamo, chi
correndo lungo il corridoio, chi con più calma, ma questi ultimi soltanto per
la paura di mettersi in cattiva luce. Anche io me ne vado lentamente, dopo aver
messo insieme quaderni e astuccio per le matite, ed il giorno seguente porto
con me, nascosta proprio dentro quell’astuccio, la figurina del portiere
dell’Atalanta. Il mio compagno non mi chiede niente, forse ha compreso di aver
fatto qualcosa di sbagliato, ma io attendo il momento più opportuno, ed alla
fine gli faccio trovare quella figurina sotto un libro sul suo banco. Lo so che
il mio è un gesto quasi assurdo, però mi va di comportarmi in questa maniera, e
forse lui comprende che la cosa migliore per lui e anche per me è quella di non
farne parola con nessuno di quel dono, tanto che durante la pausa di mezza
mattinata evita accuratamente di venirmi vicino e di incrociare il suo sguardo
con il mio. Sono contento, rifletto con pazienza; in fondo era esattamente quello
che desideravo: nessuna gratitudine, nessuno scambio puerile ed ordinario, e
poi la conferma forte e decisa che anche gli scemi da qualche parte hanno un
proprio valore, indipendentemente da ciò che si è pensato di loro fino ad un
solo attimo prima.
Bruno
Magnolfi