<<Sono stata la donna di
tutti, anche senza scambiare il mio corpo per soldi, ma soltanto per non essere
così la donna di nessuno in particolare, anche se adesso però sono stanca, e la
solitudine che ho coltivato quasi senza rendermene conto, a un certo punto ha
iniziato a pesarmi>>. Io annuisco, mentre preparo con calma il caffè,
quando sono ormai passate le tre di notte e tutti gli ospiti dell’albergo sono
rientrati nelle loro stanze. Questa donna è una persona piena di saggezza,
rifletto, ed il fatto di venire a farmi visita mentre svolgo il ruolo di
portiere durante queste notti infinite, non è assolutamente qualcosa di
marginale o di poco importante, e devo ritenere davvero una cosa del genere un
gesto di grande generosità nei miei confronti. D’improvviso, mentre finisco di
ascoltare le sue parole, mi rendo conto che di questa donna però non conosco
neppure il proprio nome, ed ora sorrido, perché quasi mi vergogno di chiederlo.
<<Marta>>, dice lei senza alcuna espressione, ed io resto colpito
da questo nome che un tempo era stato così importante per me. <<Io mi
chiamo Paolo>>, le dico sottovoce, e lei ha un piccolo scatto, come se il
mio nome le ricordasse qualcuno, proprio come è accaduto a me un attimo prima.
Ci vuole poco a capire e a rendersi conto che eravamo amici e compagni di
scuola al tempo delle medie, proprio noi due che forse solo per un soffio a
quell’epoca non trovammo neppure il coraggio di fare i fidanzatini. <<Il
mondo è strano>>, le dico, non sapendo come commentare il nostro
ulteriore incontro, a distanza di tanti anni, ma subito dopo mi sorge il dubbio
che Marta sapesse già chi io sia, ancora prima di entrare per la prima volta
nell’albergo dove lavoro. Non fa differenza, penso mentre resto in silenzio a
guardarla; la cosa fondamentale è ritrovare certe sensazioni che forse ambedue
avevamo lasciato per decine di anni nell’oblio dei ricordi.
Marta sorseggia il suo caffè in un
completo silenzio, capisco che non le interessa spiegarmi che cosa le sia
capitato dopo gli anni in cui andavamo a scuola in via delle matite, ma forse
neppure io adesso desidero davvero saperlo, e così come, non chiarendo proprio
niente lei del proprio passato, ben volentieri non le dico niente di me. Potrei
forse cercare di spiegarle qualcosa della mia ossessione attuale per i ricordi
dell’epoca della scuola elementare, ma molto probabilmente Marta non lo
capirebbe, e magari potrebbe farsi un’idea sbagliata di me, prendendomi
addirittura per uno svitato che ogni tanto finge di incontrare sé stesso
bambino. Ma mentre sto riflettendo con impegno da dove sia possibile cominciare
con i nostri difficili argomenti, lei si alza: <<Devo andare>>, mi
dice, non concedendo a me neppure la possibilità di dirle qualcosa pescando da
tutto il bagaglio di notizie che porto con me. La saluto, mentre l’accompagno
alla porta vetrata, e resto solo rapidamente, forse anche troppo dopo un incontro
così inaspettato, e perciò proseguo a riflettere, mentre vago nell’ampio spazio
tra il banco del ricevimento e la caffetteria dell’albergo. Poi arriva lui,
come fosse il mio stesso pensiero a farlo materializzare. Mi guarda senza dire
niente, e a me viene voglia di dirgli subito quanto è appena accaduto, ma lui
non esprime alcuna meraviglia alle mie parole, e non commenta la mia sorpresa,
spiega soltanto che ha già conosciuto Marta, qualche tempo fa, in un paio di
occasioni in cui lei era venuta da me.
<<Sono perplesso>>, gli
dico senza trovare altro da dire. <<Mi pare persino impossibile che possa
verificarsi un incontro del genere, senza che io abbia mai fatto niente per
favorirlo. Se ci penso con attenzione, per tanti anni dopo le scuole mi sono
chiesto dove fosse finita quella ragazza silenziosa, che mi assomigliava in
qualche maniera, e con la quale mi trovavo davvero a mio agio>>. Paolo è
ancora un bambino, adesso non mi risponde, e poi non ha conosciuto mai quella
ragazza, perché lui è rimasto all’epoca della scuola elementare, prima che io
incontrassi Marta. All’improvviso mi sento come se tutto fosse completamente
disallineato, e che i miei pensieri e anche i ricordi continuassero a fondersi
tra loro, senza darmi alcuna possibilità di venirne veramente a capo. <<E
che cosa ti ha detto?>>, chiedo adesso a questo bambino che forse appare
più sveglio di quanto ricordavo di essere io stesso alla sua età. Lui mi guarda
per un attimo e poi si allontana, quasi per andarsene, anche se poi si ferma e
mi dice soltanto: <<Che tu hai bisogno di aiuto>>, senza aggiungere
altro. Osservo la sua sagoma che sfuma nella nottata ferma e silenziosa, e
forse vorrei trattenerlo, sapere ancora qualcosa, rivolgere delle domande che
in questo momento paiono rincorrersi nella mia mente, ma poi mi accontento di
ciò che ho saputo stasera, perché mi sembra già molto, un piccolo universo di
voci che dal passato sembrano in qualche modo indicarmi una strada.
Bruno Magnolfi
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