lunedì 15 luglio 2024

Oltre la serenità.


Non sto bene, lo vedo anche solo osservando la mia faccia nel grande specchio incorniciato appeso su una parete di questa vasta sala del ricevimento alberghiero. Sono pallido, corrucciato, privo di entusiasmo, come se non mi attendessi niente di buono dalle giornate che devono sopraggiungere. Mi sento isolato, circondato com’è questo mio luogo di lavoro dalla notte profonda e dal silenzio, quasi che il mio fosse un viaggio lentissimo in uno spazio interstellare pressoché infinito e senza alcuna speranza. Mi muovo lentamente cercando tra i miei pensieri uno spiraglio di positività. Poi torno dietro al bancone, come per cercare qualcosa su cui appuntare la mia curiosità. Scorro il registro degli arrivi, ma non ci trovo niente di particolare o di diverso da tutti gli altri giorni; quindi, finalmente, quasi rispondendo ad un richiamo, apro il cassetto riservato al portiere di notte. C’è un biglietto ripiegato, sul fondo, qualcosa che non c’era in precedenza, o che comunque non avevo mai notato prima. “Per Paolo”, c’è scritto sopra, come ad evitare che qualcuno tra i diversi addetti al ricevimento che si avvicendano durante la giornata da queste parti potessero andare ad intrufolarsi in qualcosa che non li riguarda affatto. Avverto il movimento di tutto l’edificio mentre apro il biglietto, e alla fine vedo che ci sono soltanto poche parole scritte in stampatello minuscolo, come per voler dare alla frase un senso di verità. Ed improvvisamente avverto anche l’inizio della navigazione.

La notte scorre attorno all’albergo, nessuno oltre me si preoccupa di quello che sta succedendo, eppure è un avvenimento fondamentale, qualcosa che prima o dopo mostrerà a tutti un senso preciso del cambiamento. “Mi dispiace”, dice il biglietto di Clara. “Riconosco qualcosa di importante dentro di te, ma io non riesco a dare fiato ad una cosa come quella che forse mi chiedi, anche se oramai sono rimasta da sola, separata da mio marito”. Immagino che questo messaggio non sia destinato a me, ma soltanto ad un’idea di me che la mia collega addetta al ricevimento dell’albergo si è forse fatta della mia solitudine. Apprezzo la sua capacità di empatia nei miei confronti, ma alla fine non credo che serva a nessuno il suo presunto immedesimarsi nei problemi degli altri. L’albergo, come una nave che solca un mare scuro e impenetrabile, prosegue con la sua rotta disseminata di insidie costituite da scogli e da promontori rocciosi, inseguendo forse percorsi già tracciati, mappe ormai definite, porti sicuri che prima o dopo dovranno pur dare traccia di sé. Lo specchio rimanda l’immagine di un uomo senza futuro, anche se quell’uomo cerca in ogni modo ancora di battersi per la comprensione attenta dei propri errori.

Clara ha dato una spiegazione dei propri comportamenti di cui forse non c’era alcuna necessità, e la distanza che si è formata così tra noi due appare all’improvviso incolmabile. L’albergo ruota su un fianco, forse sta scegliendo la maniera più favorevole per la propria navigazione, mentre la notte, fuori dai vetri delle porte scorrevoli dell’entrata, appare del tutto immobile, priva di punti certi di riferimento. Impongo alla mia mente di non meditare di nuovo sui miei ricordi d’infanzia, sulla memoria che si presenta spesso falsa, soprattutto per evitare, come sempre accade in queste occasioni, che appaia lui di fronte ai miei occhi, il ragazzetto della scuola elementare pieno di problemi comportamentali, gli stessi che in seguito già sappiamo bene non riuscirà mai a risolvere. Difatti sono solo, e apprezzo questa specie di passo in avanti, anche se la fiducia nelle mie capacità di trovare la strada più giusta per me appare sempre più compromessa. L’edificio intero si solleva, e l’unico suono che si avverte durante questa operazione è dato dal brusio dei potenti motori elettrici sotto sforzo, mentre già intuisco l'approssimarsi di un nuovo mondo ospitante, un interregno, una stazione di posta dove la mia mente forse potrà trovare pace e riposo.

Mi concentro sul da farsi, ma non trovo niente di utile ai miei scopi, ammesso che io abbia davvero degli scopi. Proseguo con il mio malessere, in questo momento mi sembra di provare anche un leggero capogiro, ed osservo la piazzetta fuori dai vetri del piano terra mentre sta lentamente allontanandosi, e subito avverto il desiderio profondo di lasciarmi andare al destino oscuro che mi attende, senza minimamente ribellarmi. Ricordo vagamente un periodo della mia vita durante il quale la tendenza che ogni giorno mi animava era quella di riuscire a fare a meno dei soldi, nel tentativo di campare semplicemente aiutandomi con dei piccoli espedienti, rinunciando una volta per tutte a quel verbo globale ed inquietante che suona così: comprare; comprare tutto, comprare qualsiasi cosa serva ed anche ciò che è inutile, comprare il tempo, gli altri, la felicità, il raggiungimento di qualsiasi sogno possa attraversare prima o dopo la nostra mente. Spendere, assaporare la necessità di possedere qualcosa con un gesto semplice, quasi naturale, verso cui tutto quanto in questa civiltà sembra spingerci con forza. Senza riconoscere che in fondo non abbiamo bisogno di niente, oltre la serenità.

 

Bruno Magnolfi

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