Non sto bene, lo vedo anche solo
osservando la mia faccia nel grande specchio incorniciato appeso su una parete
di questa vasta sala del ricevimento alberghiero. Sono pallido, corrucciato,
privo di entusiasmo, come se non mi attendessi niente di buono dalle giornate
che devono sopraggiungere. Mi sento isolato, circondato com’è questo mio luogo
di lavoro dalla notte profonda e dal silenzio, quasi che il mio fosse un
viaggio lentissimo in uno spazio interstellare pressoché infinito e senza
alcuna speranza. Mi muovo lentamente cercando tra i miei pensieri uno spiraglio
di positività. Poi torno dietro al bancone, come per cercare qualcosa su cui
appuntare la mia curiosità. Scorro il registro degli arrivi, ma non ci trovo
niente di particolare o di diverso da tutti gli altri giorni; quindi,
finalmente, quasi rispondendo ad un richiamo, apro il cassetto riservato al
portiere di notte. C’è un biglietto ripiegato, sul fondo, qualcosa che non
c’era in precedenza, o che comunque non avevo mai notato prima. “Per Paolo”,
c’è scritto sopra, come ad evitare che qualcuno tra i diversi addetti al
ricevimento che si avvicendano durante la giornata da queste parti potessero
andare ad intrufolarsi in qualcosa che non li riguarda affatto. Avverto il
movimento di tutto l’edificio mentre apro il biglietto, e alla fine vedo che ci
sono soltanto poche parole scritte in stampatello minuscolo, come per voler
dare alla frase un senso di verità. Ed improvvisamente avverto anche l’inizio
della navigazione.
La notte scorre attorno all’albergo,
nessuno oltre me si preoccupa di quello che sta succedendo, eppure è un
avvenimento fondamentale, qualcosa che prima o dopo mostrerà a tutti un senso
preciso del cambiamento. “Mi dispiace”, dice il biglietto di Clara. “Riconosco
qualcosa di importante dentro di te, ma io non riesco a dare fiato ad una cosa
come quella che forse mi chiedi, anche se oramai sono rimasta da sola, separata
da mio marito”. Immagino che questo messaggio non sia destinato a me, ma
soltanto ad un’idea di me che la mia collega addetta al ricevimento
dell’albergo si è forse fatta della mia solitudine. Apprezzo la sua capacità di
empatia nei miei confronti, ma alla fine non credo che serva a nessuno il suo
presunto immedesimarsi nei problemi degli altri. L’albergo, come una nave che
solca un mare scuro e impenetrabile, prosegue con la sua rotta disseminata di insidie
costituite da scogli e da promontori rocciosi, inseguendo forse percorsi già
tracciati, mappe ormai definite, porti sicuri che prima o dopo dovranno pur
dare traccia di sé. Lo specchio rimanda l’immagine di un uomo senza futuro,
anche se quell’uomo cerca in ogni modo ancora di battersi per la comprensione
attenta dei propri errori.
Clara ha dato una spiegazione dei
propri comportamenti di cui forse non c’era alcuna necessità, e la distanza che
si è formata così tra noi due appare all’improvviso incolmabile. L’albergo
ruota su un fianco, forse sta scegliendo la maniera più favorevole per la
propria navigazione, mentre la notte, fuori dai vetri delle porte scorrevoli
dell’entrata, appare del tutto immobile, priva di punti certi di riferimento.
Impongo alla mia mente di non meditare di nuovo sui miei ricordi d’infanzia, sulla
memoria che si presenta spesso falsa, soprattutto per evitare, come sempre
accade in queste occasioni, che appaia lui di fronte ai miei occhi, il
ragazzetto della scuola elementare pieno di problemi comportamentali, gli
stessi che in seguito già sappiamo bene non riuscirà mai a risolvere. Difatti
sono solo, e apprezzo questa specie di passo in avanti, anche se la fiducia
nelle mie capacità di trovare la strada più giusta per me appare sempre più
compromessa. L’edificio intero si solleva, e l’unico suono che si avverte
durante questa operazione è dato dal brusio dei potenti motori elettrici sotto
sforzo, mentre già intuisco l'approssimarsi di un nuovo mondo ospitante, un
interregno, una stazione di posta dove la mia mente forse potrà trovare pace e
riposo.
Mi concentro sul da farsi, ma non
trovo niente di utile ai miei scopi, ammesso che io abbia davvero degli scopi.
Proseguo con il mio malessere, in questo momento mi sembra di provare anche un
leggero capogiro, ed osservo la piazzetta fuori dai vetri del piano terra
mentre sta lentamente allontanandosi, e subito avverto il desiderio profondo di
lasciarmi andare al destino oscuro che mi attende, senza minimamente
ribellarmi. Ricordo vagamente un periodo della mia vita durante il quale la
tendenza che ogni giorno mi animava era quella di riuscire a fare a meno dei
soldi, nel tentativo di campare semplicemente aiutandomi con dei piccoli
espedienti, rinunciando una volta per tutte a quel verbo globale ed inquietante
che suona così: comprare; comprare tutto, comprare qualsiasi cosa serva ed
anche ciò che è inutile, comprare il tempo, gli altri, la felicità, il
raggiungimento di qualsiasi sogno possa attraversare prima o dopo la nostra
mente. Spendere, assaporare la necessità di possedere qualcosa con un gesto
semplice, quasi naturale, verso cui tutto quanto in questa civiltà sembra
spingerci con forza. Senza riconoscere che in fondo non abbiamo bisogno di
niente, oltre la serenità.
Bruno Magnolfi
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