martedì 6 agosto 2013

Conferma di ogni dubbio. (Pausa n. 4).

            

            Montemerani era rimasto in silenzio mentre lo specialista di malattie neurologiche scorreva con attenzione quei venti o trenta fogli in cui erano state vergate da altri suoi colleghi le caratteristiche della sua poco comprensibile patologia. Provava una leggera tensione restando seduto davanti a quella scrivania, ma i suoi familiari, che tanto avevano insistito per quell’ennesimo consulto, erano riusciti a spingerlo fin lì nonostante il forte sospetto che anche in questo caso si sarebbe fatto un altro buco nell’acqua, e nulla di buono, con molta probabilità, anche stavolta ne sarebbe uscito fuori.
            Lei, signor Montemerani, come si classificherebbe, gli aveva chiesto di punto in bianco, dopo parecchi minuti, il luminare, dandogli una veloce occhiata e ritornando, in attesa di risposta, a ripassare di nuovo quelle carte che continuava ad avere tra le mani. Dopo, era trascorsa una pesante pausa di silenzio, forse quasi più lunga di quello che appariva necessario, e in quella fase lui come ammalato aveva cercato di raccogliere quasi tutte le proprie idee, concentrandosi sulla risposta che era meglio fornire a quest’altro rompiscatole blasonato, pur sfuggendogli, e con un certo dispiacere, il senso proprio di una domanda di quel genere.
            Non aveva mai pensato prima di allora di doversi ascrivere ad una qualche categoria di persone o addirittura di ammalati, di ritrovarsi ad etichettare se stesso come facente parte di una certa schiera, individui probabilmente tutti simili tra loro, come immaginava, riconoscibili magari per certe caratteristiche o per evidenti particolarità, quasi una serie di oscure figure magari a lui semplicemente estranee, ma che all’improvviso, nella sua fantasia, parevano voltare la faccia tutti assieme, e lui con loro, per mostrare un’espressione praticamente identica, o addirittura evidenziando quasi una sottile maschera sul volto, ognuna uguale all’altra.
            Continuava ancora a pensare, il Montemerani, quando l’altro alzava lo sguardo indagatore su di lui, quasi a rendersi conto effettivamente di quanto tempo avesse necessità quel paziente antipatico a rispondere. Allora lui, praticamente per reazione, affondava d’improvviso il suo sguardo solitamente sfuggente, fino oltre quegli occhiali insulsi cerchiati d’oro che aveva di fronte, e biascicava sottovoce quanto in genere si sentisse semplicemente estraneo a tutto quanto. Il medico proseguiva a guardarlo senza assumere un’espressione definibile, forse addirittura cercando di mostrare la sua incredulità a quelle parole, e infine insisteva: estraneo, in quale senso? Faccia un esempio della sua giornata tipo, Montemerani, cerchi di farmi comprendere meglio il suo pensiero.
            Lui si prendeva così ancora del tempo, ma adesso si sentiva persino alleggerito, avendo con questa uscita già detto molto di se stesso, secondo i suoi parametri. All’improvviso si sentiva soddisfatto di essere riuscito ad aggirare l’ostacolo in quel modo, tanto da ritrovarsi una piccola dose di coraggio aggiuntivo, e mormorare con semplicità: per me essere qui o in un altro luogo, praticamente, è la medesima cosa. L’altro faceva scricchiolare le carte, quasi a cercare di comprendere se quel paziente avesse veramente voglia di guarire o no dalle sue piccole manie, ma proprio in quell’attimo Montemerani, ormai a suo agio, si alzava dalla sedia, accomodava sopra la sua faccia un debolissimo sorriso, e in un attimo si voltava per raggiungere la porta dello studio e quindi andarsene.
            Dove va, gli aveva chiesto quasi incredulo ai propri occhi, pur dietro i suoi occhiali, il professore; ma Montemerani a quel punto non si degnava neppure di rispondergli, e ormai raggiunta la porta e scivolato dentro al corridoio di quella clinica, semplicemente alzava un po’ di più le spalle, lasciando dietro a sé l’interezza di quei dubbi che aveva sparso anche sopra la scrivania del luminare, sollevato per essere riuscito perfettamente, anche in questo caso, a confermarli tutti.


            Bruno Magnolfi

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