Certe rare volte mi
fermo a pensare. E’ come se mi sforzassi così facendo di essere qualcuno che so
perfettamente di non essere, e in questo sforzo accarezzassi quasi l’idea di
poter assomigliare a un uomo migliore. In seguito naturalmente sorrido di
questi pensieri, ci passo sopra e mando avanti le mie attività di ogni giorno.
I ragazzi che lavorano con me credo mi temano, o almeno abbassano
immediatamente lo sguardo quando rimprovero loro qualcosa. Nel nostro mestiere
non ci possono essere incertezze, ognuno deve sapere perfettamente cosa sta
facendo, e soprattutto deve decidere in fretta se ogni cosa da fare sia quella
giusta, la più adeguata, senza tirarsi mai indietro.
Facciamo traslochi al
nero, utilizzando per il trasporto soltanto un vecchio furgone scassato. La
nostra pubblicità è il passaparola, ci chiamano soltanto le famiglie dei
disgraziati che possono spendere poco, che vogliono risparmiare sulle tasse,
molto spesso gente sfrattata che piange a lasciare le stanze dove ha abitato
una vita, e certe volte capita che qualcuno di loro voglia pagare ancora meno
di quanto chiediamo: una volta sistemate le cose non si fanno trovare, oppure
cercano di darci degli assegni scoperti, dei soldi falsi, insomma tentano di
tirarci una fregatura, ma quando intervengo personalmente tutto in genere si
sistema abbastanza alla svelta.
I ragazzi a volte
credono che dentro di me io abbia una crudeltà innata, una capacità di
risultare inflessibile anche di fronte a situazioni così strappalacrime, ma non
è vero, perché in realtà io cerco soltanto di portare avanti il principio
secondo cui i patti vanno sempre e comunque rispettati. Non scherzo quasi mai
con i miei ragazzi, questo è vero, ma soltanto perché cerco di conservare una
gerarchia tra di noi, la capacità di starsene ognuno al suo posto. Il primo di
loro che sgarra, naturalmente, perde il lavoro. Anche chi si fa male viene
mandato via, perché il tipo che non sta attento a quello che fa non va bene per
questo mestiere. Siamo tutti iscritti nelle liste di disoccupazione, non
facciamo un mestiere, siamo senza lavoro, stiamo solo in attesa che qualcuno ci
trovi un posto, un lavoro qualsiasi, un’attività migliore di questa.
Quando stiamo
sistemando la mobilia e ci accorgiamo che in giro c’è qualche divisa, ad
esempio, smettiamo immediatamente di andarcene su e giù per le scale, e ci
disperdiamo il più in fretta possibile, ognuno per sé, per poi ritrovarci
un’ora più tardi sul marciapiede di prima, controllando con attenzione che
tutto adesso sia a posto. Ma anche se ci prendono tutti quanti con la roba
sopra le braccia, siamo assolutamente pronti a dire che stiamo dando
semplicemente una mano a un amico. Non c’è niente di male, ci aiutiamo tra noi,
questo diciamo.
Poi un giorno arriva
un tizio, dice che in questo quartiere si deve pagare per fare traslochi. Lo
guardo, i miei muscoli sono allenati, non credo di avere paura di nessuno. Mi
fa vedere un coltello nel corridoio del condominio e allora abbasso la testa, i
ragazzi stanno dietro di me, quando quello va via dicono che non avrei potuto
fare nient’altro. Allora mi fermo ancora a pensare, forse domani non lavoriamo,
dico agli altri, ci vuole una pausa ogni tanto. Prendo il furgone e me ne vado.
Arrivo a casa alla svelta, da solo, ma non me la sento di salire le scale.
Qualcosa inizia a incrinarsi, penso; lo sapevo che prima o poi doveva
succedere. Nella mia testa ci sono tutte le facce di quei disgraziati che
devono andarsene dalla loro casa. Sono fortunato, rifletto, nessuno per adesso
mi manda via da queste due stanze. Ma non può durare, lo sento, qualcosa deve
cambiare: sono stufo di fare il cattivo con tutti; sono stanco di pretendere
soldi e di odiare la gente; ci deve pur essere, penso da solo, la possibilità
anche per me di mostrare come sono davvero.
Bruno Magnolfi
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