Lui non ha mai dato
neppure l'impressione di poter fare del male. Ha sempre vissuto in maniera
normale, come tutti noi, dice il cognato. Non riesco a spiegarmi cosa sia
veramente accaduto, continua, per quale motivo si sia scatenato in lui qualcosa
di quel genere. L'intervista prosegue quasi con normalità, l'intervistato
insiste nel tentativo di dimostrare come quanto successo sia fuori dai canoni
di comportamento della sua famiglia, e l'intervistatrice continua a cercare un
nesso che leghi quanto capitato a quelle persone che lei e la troupe si trovano
di fronte: i vicini di casa, i parenti, persino i curiosi che affollano quel
tratto di strada. In fondo non è successo niente di diverso da ciò che accade
ogni giorno, pensa l'intervistatrice; sta tutto dentro ad un numero medio nella
casistica per questo tipo di fatti. Tra un po' di tempo ci apparirà normale
anche questo tipo di notizia, riflette, e la cronaca allora dovrà interessarsi d'altro.
Non c'è niente di strano, è già accaduto nel passato, sarà così anche per
queste cose.
La telecamera riprende
la facce, le espressioni, i gesti; gli operatori sanno perfettamente che tutto
verrà vagliato in un veloce lavoro di montaggio, e una volta costruito il
servizio di due o tre minuti al massimo, quelle persone diventeranno
indissolubilmente legate a quei fatti e a quella storia. È la normalità
televisiva, dove le cose entrano apparentemente quasi per combinazione, ma poi
tutto diventa un piccolo spettacolo di vita, e qualsiasi dettaglio, persino le
smorfie di dolore, anche le lacrime, restano impresse in una memoria superiore
a qualsiasi altra cosa.
Il cognato prosegue per
qualche minuto a parlare come un fiume in piena, forse per l’emozione di
sentirsi importante davanti a degli estranei: dice cose della sua vita, parla delle
giornate di tutta la sua famiglia, insistendo a cercare di spiegare come tutto
là attorno sia sempre scorso in modo regolare, senza mai un accenno di
stranezza in nessuno di loro, forse comprendendo nel gesto ampio che fa col
braccio, persino l’intera comunità di persone da cui è circondato, fino a
racchiudere probabilmente l’intero piccolo paese dove abitano tutti loro. Ma
poi lascia una pausa, e di colpo guarda dritto dentro l’obiettivo;
l’intervistatrice sa che le ultime cose dette probabilmente verranno tagliate,
ma vuole chiudere comunque con un'ultima domanda, così si avvicina ancora e
dice tagliente nel microfono: cambierà qualcosa, adesso?
Naturalmente intende
raccogliere un parere su quanto quei fatti possano riuscire a modificare
l’andamento semplice e regolare della vita di provincia, ma l’uomo pare
riflettere a fondo su quella domanda, come per prendere del tempo, e infine cerca
di rispondere solo scuotendo la testa e disinteressandosi di tutto, come se non
avesse ancora messo a fuoco perfettamente quanto accaduto. Alla fine prende il
microfono che gli è rimasto per quell’attimo vicino al viso, lo stringe come
per cercare le parole per esprimere qualcosa d’importante, e in un attimo dice
allontanandosi: è tutto finto; e si volta verso gli altri.
L'intervistatrice visibilmente
stizzita di queste parole, quasi si disinteressa improvvisamente di lui e degli
altri, e guardando in camera dice qualcosa tanto per chiudere il servizio, e poi,
spente le macchine, chiede come sempre fa l'autorizzazione per mettere in onda le
interviste già raccolte; ma il cognato si volta verso di lei e dice di no, che non
ha nessuna intenzione di apparire in mezzo a quella storia. Anche tutti gli
altri d'improvviso sembrano d'accordo, e mentre lei cerca ancora di convincerlo,
quasi tutti se ne vanno, lasciando alla svelta vuota quella strada, priva di
senso la fatica della troupe, insensato l'occhio indagatore della telecamera.
Bruno Magnolfi
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