Stiamo seduti sopra ai gradini, sul retro pieno d’erba di questa casa fuori
mano, tanto per parlare tra di noi, come abbiamo sempre fatto, con le ginocchia
strette tra le braccia e in mano una fedele birra, in testa tutto il resto,
mentre ogni tanto si ridacchia di qualcosa, giusto forse per ricordarci che
siamo amici da tanto di quel tempo, e che insieme ormai ne abbiamo passate
parecchie di storie buffe, tanto da riuscire in tutti questi anni ad evitare
persino l'invecchiamento che invece ha già colpito duro quasi tutti gli altri
nostri amici, quelli che adesso sono all’interno della casa, a festeggiare un
compleanno.
Siamo in attesa, questo è il punto, pronti a scattare, ad essere
all'altezza della situazione che si presenterà, prima o dopo. Intanto
alleggeriamo il momento, si dice qualcosa di divertente, senza neppure troppo
impegno, senza affrontare niente che abbia davvero qualche importanza. Lui dice
che se ne frega di molti aspetti che altri reputano fondamentali. Lo dice così,
secondo me, tanto per parlare. Sottolinea anche che possiede poca memoria, ma
si ricorda bene tutte le cose giuste. Sorrido, probabilmente potrei dire anche
io la stessa cosa, eppure sono martoriato da dettagli insignificanti che si
sono impressi nella mia mente anche molti anni addietro, e che spesso mi
tornano presenti persino nei momenti meno adatti, anche adesso, come si fossero
saldati una volta per tutte in mezzo ai miei ricordi, pronti a saltar fuori
all'improvviso, quasi in modo autonomo. Forse questo vorrei dirglielo al mio
amico, ma sono sicuro che non troverei mai le parole adatte. Così sorrido, e
basta.
Lui, dopo un altro sorso di birra, dice che è stanco del suo lavoro, che
vorrebbe occuparsi di qualcosa di più gratificante. Io lo ascolto, forse ha
ragione, penso, però non mi viene in mente niente di adatto per una persona
come la sua. Così ridendo gli faccio presente che dovevamo mettere su un
locale, io e lui, e che ne parlavamo qualche volta tanti anni prima, appena fuori
della scuola superiore che non faceva proprio per noi. Lui resta in silenzio,
come se scherzassi, forse non se lo ricorda neppure, penso io. Invece a un
certo punto scappa fuori a dire che ci siamo fatti sfuggire la nostra buona
occasione, con quel locale. Eravamo la squadra giusta, mi fa, ci avremmo dato
dentro, ne sono sicuro.
Forse è vero, penso, ma tutti gli anni che sono trascorsi da allora si sono
presentati zeppi di cose da affrontare una ad una, senza possibilità di avere
mai una visione complessiva. Abbiamo riparato ai guai che si sono presentati,
gli dico; non abbiamo avuto molte possibilità. Ti sbagli, dice lui: non abbiamo
avuto coraggio sufficiente, tutto qua. Va bene gli faccio, ma adesso è troppo
tardi, inutile anche pensarci. Lui resta in silenzio. A me torna a mente di una
volta quando litigammo: volarono subito parole grosse, e poi, inevitabilmente
facemmo a pugni, però senza farci troppo male in fondo. Forse volevo che lui
fosse più simile a me, che pensasse persino le medesime cose che pensavo io,
chissà.
Ci eravamo andati a sciacquare la faccia alla fontana, quella volta, per
toglierci di dosso la polvere della strada, dopo le botte. Io avrei voluto
piangere, probabilmente per qualcosa che non ero riuscito bene neanche a
comprendere. Cosi mi ero voltato per non far vedere a lui la mia tristezza. Ed
in seguito le cose erano tornate quelle che erano sempre state.
Tutti questi anni ci sono scivolati addosso, fa lui; non siamo cambiati,
possiamo ancora fare tutto quello che vogliamo. Non so, penso intanto io; siamo
così diversi che non riuscirò mai a spiegargli appieno che le cose sono sempre
più difficili, più complesse di quello che riusciamo a immaginarci. Intanto
dalla casa qualcuno all’improvviso sembra chiamarci: è ora di rientrare, gli
fo. Va bene, dice lui, ma in qualche maniera
avverto che forse è lui adesso che forse vorrebbe piangere, ma io non dico
niente e non lo guardo neppure, per non imbarazzarlo. In fondo non è successo niente,
rifletto; niente probabilmente succederà. Lo sappiamo tutt'e due.
Bruno Magnolfi
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