Sono consapevole del fatto che dovrei smettere. Smettere di essere come sono
e disinteressarmi una volta per sempre di quanto ho cercato di fare e di
mettere insieme per tutto questo tempo, anche se mi rendo conto di quanto non
sia facile per nessuno voltare pagina e dare un calcio ad una parte importante del
proprio passato, tanto più per uno come me che ha sempre cercato di essere
retto e coerente. Ho fatto un mezzo disastro, ne ho piena coscienza, ma in
molti casi è intervenuta anche una buona dose di sfortuna, ne sono convinto. Di
fatto dovrei comunque voltare pagina e non pensarci neppure più.
E poi tutto intorno a me pare sempre parlarmi delle stesse identiche cose,
ed anche al momento che inizio il mio turno di lavoro come cameriere di sala al
ristorante del pesce, i miei colleghi quando mi salutano certe volte mi
chiedono ancora come mi vada, ammiccando alle mie debolezze che oramai
conoscono bene. Il mio piccolo appartamento è sempre pieno di quelle tele e di
quei dipinti che ho accumulato in tutti questi anni, acquistando ogni volta che
ho potuto tutti i quadri che mi hanno dato l'impressione di aumentare
velocemente di valore, anche se poi non è accaduto quasi mai. Sono stato per
anni a consultare le riviste specializzate che parlavano dei mercati dell'arte,
ad interessarmi di tutto ciò che prima o dopo avrebbe potuto portarmi a metter
su a mio nome una vera e propria galleria, e qualche volta mi è parso di essere
proprio vicino a fare il colpo che certamente mi avrebbe sistemato una volta
per tutte. I miei colleghi adesso forse ridono di me qualche volta, perché non
mi è riuscito di sistemarmi, ma questo in fondo non ha alcuna importanza.
Uno di loro tempo fa mi ha spiegato addirittura che comprendeva bene il mio
comportamento: si fanno sempre delle scelte, mi ha detto, e lui sosteneva di invidiare
la mia capacità di essere sempre andato fino in fondo alle cose, anche se ho
sempre speso di più di ciò che sono riuscito a ricavare dalle vendite. Ho
sorriso, sono cosciente che per questo praticamente ho rinunciato a farmi una
famiglia, una casa mia, a mettere persino da parte qualche risparmio, proprio
perché ho sempre cercato qualcosa che forse reputavo ben più importante di
queste piccole cose.
Le tele adesso se ne stanno ammucchiate tra loro contro le pareti delle mie
stanze, a prendere soltanto della polvere. Ogni tanto qualcuno viene ancora al
ristorante del pesce a domandare di me e di qualche quadro particolare che
magari potrei forse possedere, ma nessuno alla fine compra mai niente, o
perlomeno non intende tirare fuori dalle tasche nemmeno il prezzo che ho speso
inizialmente per questa o per quell'altra opera d'arte. Sono un mucchio di croste
senza valore, mi dico in questi casi, ed evito persino di tornare a guardarle tanto
mi intristisce tutto questo.
Così torno ogni giorno al ristorante e servo i clienti, pulisco il loro pesce,
tolgo le lische, sorrido, e prendo qualche mancia. Ma non è questa la mia vita,
vorrei quasi dire a tutti loro, anche se accetto quella che mi è stata data,
almeno in buona parte. La sera tardi rientro in casa, ci sono tutti quei
ritratti, quelle nature morte, quei paesaggi e anche degli astratti, che paiono
come aspettarmi, disposti come sono in un ordine sparso. Non li guardo neanche
più, quasi li evito, eppure so che ci sono, che sono lì, come in attesa, e
ancora costituiscono, forse, una parte importante di me.
Bruno Magnolfi
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