Me
ne sto immobile davanti a te che continui ad osservarti attorno quasi
ignorandomi. In realtà ci sono troppe
persone in questo locale per poterti essere davvero accorta di una
persona che si limita a guardarti con profondità solo qualche volta e quando si
ricorda che ci sei. E poi mi chiedo per quale motivo in mezzo a tutti dovresti
fare caso proprio ad uno come me, così ordinario ed anonimo, addirittura, almeno
in apparenza, senza alcun dettaglio interessante. Perciò mi disinteresso
momentaneamente dei tuoi occhioni belli e della tua faccia così espressiva, per
riprendere a sorseggiare la mia birra e leggere qualcosa sopra una rivista che
ho trovato sul mio tavolo.
Tu
però poco dopo ti alzi, sistemi la gonna corta con la mano e sorridi ad un paio
di persone che comprendono la tua manovra e ti lasciano passare volentieri. Ti
guardi ancora attorno, ti muovi con destrezza, si vede che sai benissimo come riuscire
a farti notare, scorri in avanti e con tutta calma arrivi fino al bancone del
locale, forse per chiedere qualcosa. I camerieri però sono tutti impegnati,
così ti guardo ed attendo ancora qualche momento; poi anche io mi alzo,
raccolgo il mio giornale e infine mi accosto con indifferenza proprio vicino a
te, e quasi stupidamente chiedo se per caso posso esserti utile. Tu mi guardi
soltanto per un attimo, assumendo una vaga aria di rimprovero, scuoti appena la
testa, e poi aspetti semplicemente che il cameriere venga da te e risponda per
mestiere a tutti i tuoi desideri.
Il
mio tentativo è andato male, penso, non ho proprio neppure il coraggio di
insistere su questa strada, così abbasso gli occhi semplicemente sopra la mia
rivista e ripiombo nella mia ordinarietà, definitivamente, credo. Con il
massimo di banalità ordino una nuova birra piccola, e mi disinteresso di
qualsiasi altra cosa mi circondi, anche se inaspettatamente è lei adesso che
dice: scusi, scusi; non vorrei apparirle inopportuna, mi spiega mentre mi
guarda; però lei adesso non può d’un tratto ignorarmi così, lasciare che tutto
cada nel nulla in questo modo. Poi subito ride, come a spiegare che la sua
personalità è ad un livello molto più alto della mia, e che ancora prima di far
nascere dei fraintendimenti, preferisce troncare così qualsiasi ulteriore
possibilità.
Rido
vagamente anche io, in fondo non mi restano grandi scelte di comportamento.
Normalmente cercherei di farmi piccolo, di evitare il suo sguardo, di lasciare
che le mie parole svanissero in aria come il fumo di una qualsiasi sigaretta.
Invece con un guizzo le dico subito: c’è una festa grande dove si balla qui
vicino. Ci facciamo un salto per un’ora, e poi torniamo qui. Lei mi guarda e
pensa. Credo che adesso, immagino mentre attendo una risposta, non possa
riuscire a cavarsela con un no secco che non saprebbe neanche di nulla. Non può
neppure fingere di avere altro per la mente, è più che chiaro, e in fondo è lei
che si è rivolta a me quando ormai non ce n’era più alcun bisogno, ed il mio
invito anche se appare una cretineria però è senz’altro onesto, senza trucchi.
Accetto, mi dici con nettezza alla fine delle tue profonde riflessioni, ma
prima finiamo i nostri bicchieri, e poi devo anche avvertire le mie amiche.
Annuisco, e tu vai subito in bagno a sistemarti non so cosa.
Infine
torni già con la giacchina sulle spalle, e allora ci muoviamo, arriviamo
insieme alla porta, io la apro con destrezza per lasciarti uscire prima di me,
pronto come un turbine ad affrontare l’improvviso silenzio vuoto della strada,
anche se poi, proprio sulla soglia, mi fermo con decisione e ti chiedo di
aspettarmi soltanto per un attimo: ho dimenticato qualcosa, le dico con
semplicità. Rientro, mi guardo attorno, e poi con calma torno a sedermi
all’ultimo tavolino della sala, con la mia rivista ed il mio sguardo vago, chiedendo
al cameriere una nuova birra piccola. Adesso mi prenderò tutti i suoi
rimproveri, penso. Ma in fondo cosa importa, rifletto: me li merito quasi tutti.
Bruno
Magnolfi
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