Tutto oramai è fuori
controllo, penso. Inutile illudersi, a me basta girare per le strade di questo
quartiere per rendermi conto che ognuno di noi è preso soltanto dai propri
problemi, e che non riesce nemmeno a immaginare quali siano i temi che invece
riguardano tutti. Mi soffermo qualche minuto ad osservare un palazzo di recente
costruzione, poi però vado avanti, a cercare ancora quegli elementi che restano
a mostrare le cose così come sono sempre state.
Gianni, dice qualcuno
da dietro. E’ un amico di sempre che mi chiama, uno dei pochi che ancora
frequento. Facciamo assieme due passi, propone. Va bene, rispondo con un
sorriso, devo soltanto andare alle poste centrali, quelle di piazza Repubblica.
Camminiamo affiancati perciò, e lui mi spiega le proprie piccole difficoltà nel
sentirsi a suo agio in questa realtà capricciosa, zeppa di elementi antipatici
e negativi. Io però gli sorrido: era nell’ aria che tutto sarebbe prima o dopo
diventato così, gli faccio presente, una realtà piena di fastidi e di grandi
sospetti per tutto e per tutti. Vorrei che qualcosa cambiasse, fa lui, ma non
so neanche io di preciso che cosa. Rallento, mi fermo, gli assesto una debole
pacca ironica sopra le spalle, e sorrido, dico che questi sono i soliti
argomenti che non portano proprio da alcuna parte. Dobbiamo fare, dico, essere
precisi, ribellarsi, tirare fuori le proprie opinioni e farne bandiera.
Lui non mi guarda, forse c’è rimasto male, penso; dice
che adesso comunque ha qualcos’altro da fare, deve perciò andarsene, e così quasi
all’improvviso mi saluta, e se ne va subito per una delle vie laterali senza
neppure voltarsi. Forse ho esagerato, penso; adesso vorrei quasi corrergli
dietro, cercare di spiegarmi meglio con lui, dirgli che in fondo siamo tutti
nella medesima barca, e parlando con cordialità aggiungere molte altre cose del
genere, ma lui adesso è già lontano, anzi, è ormai sparito in mezzo alla gente.
Forse devo trovare un maggiore equilibrio, rifletto; qualcosa che mi permetta
di dire sempre quello che penso, ma senza dare sui nervi a nessuno.
Alle poste centrali c'è molta gente, mi metto così in
fila di fronte ad uno sportello. Sto lì, attendo il mio turno, ed intanto mi
viene voglia di cantare qualcosa, un motivetto senza alcun impegno, tanto per
rompere la noia del momento. Qualcuno si volta mentre intono una vecchia
canzone, forse si pensa che questo sia il luogo più insolito dove fare cose del
genere, ma a me non importa un bel niente. Torna il mio amico, mi vede, si
accosta, dice che forse adesso dovrei smetterla, probabilmente sto dando
fastidio, e che tutti anche se fingono non ci sia niente di strano, in realtà
non riescono a sopportare facilmente un comportamento del genere. Va bene, gli
faccio, per me era soltanto il tentativo di coprire almeno in parte il profondo
brusio monotono di queste ampie sale. Lui sorride: sei soltanto un bambino,
dice; bisogna sempre lasciarti fare quello che vuoi, altrimenti metti su il
broncio.
Va bene, dico io: forse hai ragione. Ma adesso non
riesco neppure a rammentare la ragione per la quale ero venuto fin qui: forse
dovevo ritirare qualcosa, o spedire una lettera, non so, non ricordo. Mentre
parlo continuo a passare in rassegna le tasche, e quasi subito così trovo una busta
già indirizzata. Ecco, gli dico al mio amico, ecco la risposta ad alcune
questioni: qua dentro ci sono le mie parole di disprezzo per molte delle cose
che vengono o non vengono fatte, indirizzate direttamente al nostro Presidente.
E’ il mio messaggio nella bottiglia, il mio grido di dolore, una sciocchezza
qualunque, mi dirai sicuramente; ti do ragione, in fondo, ma io adesso non
starei affatto bene se non riuscissi a consegnare nelle mani di qualcuno questo
mio piccolo semplice pensiero.
Bruno Magnolfi
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