Non
vorrei mai provare il dolore. Per questo corro ogni giorno. Esco da casa già in
tenuta sportiva ed inizio subito a correre, per tutte le strade di questo
enorme quartiere, fino a stancarmi, a sudare, a stordirmi di fatica, fino al
punto di non sentire quasi più niente, ed avvertire soltanto che il mio corpo è
ormai esausto in ogni sua minima parte, ed ogni altro pensiero è lontano,
neutralizzato. Poi rientro, mi lavo, mi cambio, e vado a lavorare. I colleghi
sorridono, loro non credono ad alcun sano comportamento muscolare. Li lascio
dire, per me in fondo va bene così, non c’è da aggiungere niente. Certe volte
penso che la mia incapacità ad uscire dal bozzolo che mi sono creato intorno,
non porterà mai niente di buono, ma questo è soltanto il retro pensiero che mi
prende quando sono completamente a riposo.
Di
fatto penso che persino i miei colleghi utilizzino degli stratagemmi per
alleviare le proprie pene, così una volta dico loro che in fondo siamo tutti
fatti in uno stesso modo, simili e costituiti della stessa materia. Loro
ridono, mi prendono in giro, dicono sempre che sono soltanto leggermente spostato,
ma senza pensarlo davvero. Uno poi fa: tu hai la fortuna del tuo impegno
continuo per farti scivolare via la giornata. Forse, fo io: anche se mi sto
abituando velocemente alle cose, e tutto così diventa consuetudine e monotonia,
ed è tale da rendere ogni elemento praticamente scontato, senza più la spinta
di inizio.
Quando
vado a dormire sono stanchissimo. Spengo la luce, tutto crolla dentro di me, il
sonno diventa subito un grande fondo scuro su cui non si muove più niente. Lei
è lontano, non può danneggiarmi ancora. Qualche collega mi ha fatto qualche
domanda, ed io non ho voluto essere evasivo, anche se forse sarebbe stata la
cosa più facile. Al contrario ho cercato in poche parole di sintetizzare la
vicenda che ancora si trascina dentro di me. Dovresti svagarti, generalmente
hanno detto. Sorrido, in questi casi, non credo sia facile per nessuno
comprendere le sensazioni che si possono provare. Così, la mattina seguente,
riprendo a correre, quasi con un impegno maggiore.
Oggi
mi sono svegliato alla solita ora, ho acceso la luce, aperta la finestra, e
sono rimasto lì, a guardare l’alba lontana e grigiastra, senza particolari attrattive.
Niente è cambiato, penso, forse mai niente cambierà veramente. Oggi non correrò,
ho subito pensato, e forse non andrò neppure a lavorare; probabilmente rimarrò
qui a curare qualcosa che ho tralasciato da molto, e ad affrontare queste
ferite rimaste esposte a qualsiasi maltempo. Sono uscito, perciò, ho camminato
per le medesime strade che conosco di questo quartiere, e mi sono soffermato però
ad ogni angolo, ad osservare qualsiasi dettaglio, rallentando continuamente la
velocità e riflettendo su qualsiasi piccolo particolare degno di nota. Alla
fine comunque sono andato ugualmente a lavorare, anche se con un discreto
ritardo di cui sono riuscito a dare una giustificazione. I miei colleghi hanno
subito capito che qualcosa improvvisamente era successo, ed io, di fronte ai
loro sguardi interrogativi, ho sorriso, ad uno per uno, mostrando di voler bene
a tutti, ed infine ho anche detto con facilità che non ho più voglia di
correre: ho solamente voltato una pagina, ho spiegato loro; ma in fondo era
semplice farlo.
Bruno
Magnolfi