mercoledì 18 novembre 2015

Comprensibili debolezze.

   

            Sto qui per quasi tutto il giorno, sopra la panchina di questo giardinetto, proprio accanto alla strada che porta verso il centro. Mi sposto durante la giornata giusto per arrivare al semaforo che sta di fronte, anche se non chiedo mai niente agli automobilisti, mi limito negli orari di punta a passare accanto alle vetture ferme in coda per il rosso, per dare la possibilità a quelli del quartiere che ormai mi conoscono da tempo, di regalarmi a volte qualche spicciolo, oppure qualcosa da mangiare; in certi casi mi portano anche un paio di scarpe usate, o qualche maglione e giubbotto smesso, che fa sempre un gran comodo, e anche altre cose del genere che a me possono servire. Perciò durante tutta la giornata sotto alla mia panchina ci sono sempre delle grandi buste con dentro tutta la roba che riesco a raccogliere e mettere da parte, lo sanno tutti qui, a nessuno dà fastidio.
            L'altro giorno nella tasca di una giacca grigia che ho indossato per la prima volta, trovo una vecchia fotografia: è una ragazza sorridente, non mi pare di averla mai veduta da queste parti, perciò decido subito che quello è un segno del destino, e che lei d’ora in avanti sarà come la mia fidanzata, il mio portafortuna. A qualcuno che mi saluta al semaforo faccio anche vedere quella foto, senza specificare niente, e forse in molti stanno quasi per chiedersi che vita avrà mai fatto prima di adesso uno come me, capace di essere riuscito a conoscere e magari a frequentare una ragazza carina di quel genere. Io sorrido dentro di me: è come fosse tutto un mio segreto, una scommessa con la vita che tengo quasi in serbo tra le cose a me più care.
            Passano i ragazzi di un’associazione per sentire come mi vadano le cose, mi danno subito i buoni pasto per la mensa, dopo essersi informati sulle mie condizioni di salute, mi fanno dei gran complimenti per come mando avanti le mie cose, e poi mi allungano anche qualche soldo. Sto bene, dico, adesso che non sono più da solo le cose poi vanno anche meglio: ho con me la mia fidanzata che mi tiene compagnia per tutto il giorno, e questo sicuramente è un gran sollievo, dico. Così mostro a queste brave persone l’immagine della mia ragazza che tengo sempre in qualche tasca, e loro sembrano molto sorpresi, per scherzo si danno anche di gomito l’un l’altro, ridono e apprezzano il mio buon gusto nello scegliermi questa fidanzata.
            Trascorre qualche giorno, tutto scivola esattamente come sempre, senza sbalzi, e dopo arriva lei, proprio lei vera, ed io non mi aspettavo proprio una sorpresa di quel genere, anche perché fin da diversi passi di distanza la riconosco subito, non ho bisogno neppure di pensarci. Viene con calma verso la mia panchina, sorride, si siede accanto a me, dice che oggi fa un po' freddo, ma che purtroppo stiamo andando sempre più verso l’inverno. Ho la coperta, le rispondo con timidezza e titubanza, per me non ci sono troppi problemi. Continuo a guardarla, è proprio lei, bella come me l’ero immaginata, ed è la mia ragazza, adesso ne sono proprio sicuro, e lei sa bene che non mi sarei mai immaginato di incontrarla, che non me l’aspettavo davvero una sorpresa di quel genere.
            Mi dice in due parole che lei se la sta passando piuttosto bene, che è contenta di come stanno andando tutte le sue cose, ed io allora le faccio vedere la mia fotografia, tanto per spiegarle bene quanto io abbia pensato a lei per tutto questo tempo. Mi sfiora la mano, sorride, dice che le fa piacere se tengo la sua fotografia, ma che adesso deve proprio andare, anche se ritornerà, di questo ne è più che sicura, quasi me lo giura. Sorrido, mi sembra di vivere in un sogno, così di getto le chiedo di scrivermi il suo nome sul retro dell’immagine, e magari anche una dedica.
            Elena, dice lei mentre scrive qualcosa insieme al suo nome. La guardo, poi riprendo la fotografia dalle sue mani: è il più bel nome che abbia mai sentito, penso, anche se adesso provo un’emozione così forte che non riesco neppure a pronunciarlo. 


            Bruno Magnolfi

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