Siediti,
stai ferma, e soprattutto in silenzio, le grido quasi; non voglio più sentire
niente, neppure l’eco della tua voce. Poi mi volto, cerco di riprendere la
lezione dal punto dove in ultimo sono stata interrotta, ma mi rendo conto che
adesso oramai ho perso completamente il filo del discorso, e che in questo
momento non ricordo neppure di che cosa stavo effettivamente discorrendo. Non
so per quale motivo, però mi viene in mente all’improvviso una sensazione e
un’immagine di quando ero piccola, e di alcuni momenti in cui mia madre
pacatamente mi sgridava per qualcosa che certe volte forse non facevo, oppure
che facevo male, e ricordo benissimo anche quanto a me piacesse la sua voce,
perfino in quei momenti, e quelle sue maniere monotone ma in fondo rassicuranti
con le quali mi lasciava immediatamente comprendere quale fosse il vero limite,
dandomi l’indicazione della strada giusta lungo la quale procedere. Forse in
questo momento dovrei proprio parlare di tutto questo alla classe, penso mentre
prendo ancora tempo con una scusa banale, ma una delle regole a cui mi sono
sempre attenuta è quella di non trattare mai della mia vita privata, e tenere
tutte le mie storie e le mie emozioni lontane il più possibile dal mondo del
lavoro.
Lorenzo,
dico allora approfittando di una porzione di silenzio che ancora persiste;
riassumi quanto sono riuscita a dire fino adesso, per favore. Il ragazzino si
alza, è uno di quelli bravi, riflessivi, così si guarda alla sua destra dove
c’è il suo amico, forse per cercare un aiuto o almeno una condivisione, mentre
probabilmente si sta già chiedendo perché mai la sua insegnante abbia
interpellato proprio lui, anche se di fatto non può neppure immaginare quanto i
suoi modi assomiglino ai miei quando avevo la sua stessa età. Qualcuno subito
dietro Lorenzo ride in maniera soffocata, chissà poi per quale motivo, e lo fa
proprio mentre io provo all’improvviso quasi un moto di commozione, forse solo
per aver semplicemente ripensato alla mamma, oppure per una stupida e
ingombrante nostalgia che adesso non saprei neppure definire.
Ecco,
dice Lorenzo; ci stava spiegando quanto sia brutta la violenza tra le persone,
specialmente quella di cui nessuno parla mai. Pausa. Lo guardo in silenzio, lui
mi guarda, non lo incoraggio, resto neutrale quanto più mi riesce: il ragazzino
intuisce qualcosa però, così abbassa gli occhi e infine si siede. Con quelle
semplici parole la stanza di fronte al mio sguardo è attraversata
improvvisamente dalla figura di mio padre, forse soltanto un’ombra, quasi un
fantasma, velocissimo, talmente rapido che dubito io sia riuscita davvero a
vederlo. Ne ho soltanto avuto l’impressione, forse, e poi in fondo a distanza
di anni non ricordo neanche bene come fosse fatto.
La
violenza di cui nessuno parla è quella che avviene ogni giorno, dico; magari
proprio dentro un’insospettabile abitazione, ed è quella che in una volta sola
non mostra mai niente di sé. La sua vera forza è la ripetizione continua, il
monotono manifestarsi anche di uno stesso singolo atto: chiedere sgarbatamente
una medesima cosa, esprimersi sempre con un atteggiamento aggressivo, o anche
soltanto evitare sistematicamente di dare delle risposte. Anche questa è
violenza, ed a volte risulta talmente efficace da portare chi la subisce
addirittura a dei gesti sconsiderati.
Adesso
il silenzio è perfetto, completo; forse ho messo qualcosa di mio in quanto ho
detto, penso mentre giro una pagina sopra la scrivania; in questo momento avrei
quasi voglia che qualcuno dei più scalmanati rompesse la pesantezza dell’aria
che si è instaurata dopo queste parole, magari per dire una scemenza qualsiasi.
Invece niente, tutto improvvisamente è immobile. Devo uscire da questa
situazione, penso. Lorenzo, dico così a Lorenzo in maniera un po'
intimidatoria. Scrivi per favore sopra la lavagna la parola chiave della
lezione di oggi. Lui si fa avanti svogliatamente, si posiziona accanto allo
schermo, prende tempo, infine scrive: quotidianità. Bravo, gli dico, ma adesso
prendiamoci tutti una pausa di qualche minuto per riflettere bene anche su
questo argomento; poi magari potremo discuterne con una calma maggiore. Esco
dall’aula, vado in bagno, mi guardo nel piccolo specchio e all’improvviso so
perfettamente che non avrei mai dovuto affrontare con i ragazzi un tema del
genere.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento