Ancora bello
quest’angolo; sopra al marciapiede, poco lontano dalla galleria d’arte, è
sempre stato secondo il mio parere il luogo migliore. A me ci vuol poco per
mettermi in postazione: apro le borse e metto giù i coperchi, i lamierini di
metallo, i secchi di plastica, i barattoli di latta, senza dimenticare le
fruste di bambù di ricambio, che devono stare sempre accanto al mio seggiolino,
e poi via, che inizia immediatamente questo spettacolo di ritmo, dieci minuti sparati
di percussioni a velocità stratosferica, senza mai tirare su neanche la testa,
manco per vedere se qualcuno casomai stia mettendo dentro al cappello i suoi
spiccioli.
Ci sono stati giorni
fantastici, certe volte, esattamente in questa postazione: anche cinquanta
persone tutte assieme con gli occhi incollati sopra ai miei polsi, ad
entusiasmarsi per questo ritmo vertiginoso e coinvolgente. Ci davo dentro in
quei giorni, mi pareva che tutto il mondo intorno a me, almeno per quei dieci
minuti, prendesse la velocità stessa delle mie bacchette, e tutto il resto
invece fermo, dietro alle solite cose, alla monotonia che ammazza persino le
idee. Mi sono messo in tasca dei bei soldi, in certe serate di quel periodo,
proprio in questo angolo d’oro, ma soprattutto so di avere regalato a tutti i
passanti un’emozione quasi da urlo.
Adesso mi guardo
attorno, con calma, stendo ancora le mie cose con grande professionalità, come
sempre, e so perfettamente cosa stanno pensando le persone che in questo
momento mi guardano, senza rallentare minimamente il loro passo. Non devo
pensarci, continuo a ripetermi, devo solo sentire il tempo, il ritmo dentro di
me che continua ad incalzare, che bussa, e fa di tutto per uscire con
naturalezza dalle mie mani. Poi inizio, molti rallentano, altri si fermano, non
è più esattamente come una volta, ma in ogni caso riesco sempre a fare la mia
bella figura. Non so che cosa sia successo, forse non c’è più nell’aria la
novità di una volta, forse tutti quanti si sono ormai abituati; io ho cercato
anche di variare i miei oggetti sparsi per terra, ma non è servito a molto.
Così adesso mi pare
di ripetere una liturgia mandata ormai a memoria, che non ha quasi più senso,
sicuramente non per chi è ancora qui ad ascoltarla, ma sinceramente neanche per
me. Eppure non riesco a schiodarmi da questo proseguire imperterrito, mi pare
che si dovrebbe almeno comprendere tutto
il tempo e lo sforzo che ho impiegato per mettere assieme questa piccola cosa.
Già, perché è una piccola cosa, ne sono cosciente; però, come hanno detto in
tanti che mi hanno ascoltato qualche volta, anche dimostrazione chiara di un
certo, inequivocabile talento.
Non voglio pensare di
avere diritto a qualcosa di più di quanto ho già ricevuto, però sono sicuro che
qualcuno si sarebbe potuto interessare un po' più di me, delle mie capacità, e
magari offrirmi una buona occasione per togliermi da questi anonimi
marciapiedi. Ma adesso, quando la gente mi ascolta, sembra quasi che tutto riproponga
un semplice gioco, un trastullo che forse potrebbe fare chiunque, sarebbe
sufficiente, come pensano in molti, mettere insieme un certo esercizio, un
minimo di fantasia, e anche qualche buona idea generale.
Per me invece non è proprio
così; e non è stato così fin da quando ho iniziato. Sfido chiunque a combinare
qualcosa come questo mio ritmo tenuto sopra gli oggetti presi direttamente dai
cassonetti della spazzatura; c’è anche poesia in queste mie mani, ed è
assommata alla nevrosi dell’oggi, al ritmo frenetico con cui tutte le cose ci
passano vicino. Ma ormai sento dentro me stesso di aver perso l’entusiasmo di
quei primi tempi lontani, così dovrò per forza smettere un giorno di questi,
anche per onestà verso tutti. Chissà mai se qualcuno, magari fra qualche tempo,
avrà voglia di ricordare davvero fino dove, almeno qualche volta, ero quasi
riuscito a innalzarmi.
Bruno Magnolfi
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