giovedì 27 ottobre 2016

Liturgia decadente.

           

            Ancora bello quest’angolo; sopra al marciapiede, poco lontano dalla galleria d’arte, è sempre stato secondo il mio parere il luogo migliore. A me ci vuol poco per mettermi in postazione: apro le borse e metto giù i coperchi, i lamierini di metallo, i secchi di plastica, i barattoli di latta, senza dimenticare le fruste di bambù di ricambio, che devono stare sempre accanto al mio seggiolino, e poi via, che inizia immediatamente questo spettacolo di ritmo, dieci minuti sparati di percussioni a velocità stratosferica, senza mai tirare su neanche la testa, manco per vedere se qualcuno casomai stia mettendo dentro al cappello i suoi spiccioli.
            Ci sono stati giorni fantastici, certe volte, esattamente in questa postazione: anche cinquanta persone tutte assieme con gli occhi incollati sopra ai miei polsi, ad entusiasmarsi per questo ritmo vertiginoso e coinvolgente. Ci davo dentro in quei giorni, mi pareva che tutto il mondo intorno a me, almeno per quei dieci minuti, prendesse la velocità stessa delle mie bacchette, e tutto il resto invece fermo, dietro alle solite cose, alla monotonia che ammazza persino le idee. Mi sono messo in tasca dei bei soldi, in certe serate di quel periodo, proprio in questo angolo d’oro, ma soprattutto so di avere regalato a tutti i passanti un’emozione quasi da urlo.
            Adesso mi guardo attorno, con calma, stendo ancora le mie cose con grande professionalità, come sempre, e so perfettamente cosa stanno pensando le persone che in questo momento mi guardano, senza rallentare minimamente il loro passo. Non devo pensarci, continuo a ripetermi, devo solo sentire il tempo, il ritmo dentro di me che continua ad incalzare, che bussa, e fa di tutto per uscire con naturalezza dalle mie mani. Poi inizio, molti rallentano, altri si fermano, non è più esattamente come una volta, ma in ogni caso riesco sempre a fare la mia bella figura. Non so che cosa sia successo, forse non c’è più nell’aria la novità di una volta, forse tutti quanti si sono ormai abituati; io ho cercato anche di variare i miei oggetti sparsi per terra, ma non è servito a molto.
            Così adesso mi pare di ripetere una liturgia mandata ormai a memoria, che non ha quasi più senso, sicuramente non per chi è ancora qui ad ascoltarla, ma sinceramente neanche per me. Eppure non riesco a schiodarmi da questo proseguire imperterrito, mi pare che si dovrebbe almeno comprendere  tutto il tempo e lo sforzo che ho impiegato per mettere assieme questa piccola cosa. Già, perché è una piccola cosa, ne sono cosciente; però, come hanno detto in tanti che mi hanno ascoltato qualche volta, anche dimostrazione chiara di un certo, inequivocabile talento.
            Non voglio pensare di avere diritto a qualcosa di più di quanto ho già ricevuto, però sono sicuro che qualcuno si sarebbe potuto interessare un po' più di me, delle mie capacità, e magari offrirmi una buona occasione per togliermi da questi anonimi marciapiedi. Ma adesso, quando la gente mi ascolta, sembra quasi che tutto riproponga un semplice gioco, un trastullo che forse potrebbe fare chiunque, sarebbe sufficiente, come pensano in molti, mettere insieme un certo esercizio, un minimo di fantasia, e anche qualche buona idea generale.
            Per me invece non è proprio così; e non è stato così fin da quando ho iniziato. Sfido chiunque a combinare qualcosa come questo mio ritmo tenuto sopra gli oggetti presi direttamente dai cassonetti della spazzatura; c’è anche poesia in queste mie mani, ed è assommata alla nevrosi dell’oggi, al ritmo frenetico con cui tutte le cose ci passano vicino. Ma ormai sento dentro me stesso di aver perso l’entusiasmo di quei primi tempi lontani, così dovrò per forza smettere un giorno di questi, anche per onestà verso tutti. Chissà mai se qualcuno, magari fra qualche tempo, avrà voglia di ricordare davvero fino dove, almeno qualche volta, ero quasi riuscito a innalzarmi.


            Bruno Magnolfi 

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