Quasi
al termine dell’anno scolastico, trascorso nella classe di quarta elementare,
l’insegnante di allora chiese a mia madre, che oramai non veniva più, se non
una o due volte alla settimana al massimo, né a prendermi e né ad accompagnarmi
in Via delle Matite all’ora di entrata ed uscita dall’edificio, se avesse avuto
piacere di iscrivere suo figlio insieme al gruppo di bambini che a fine giugno
sarebbe andato a raggiungere la Colonia Marina. Si trattava di due settimane di
mare da condividere insieme ad una moltitudine di ragazzi anche di altre Scuole
in un luogo molto bello dove esisteva una struttura già predisposta, ed anche
se c’era da pagare un contributo, <<questa vacanza, così
particolare>>, disse la maestra, <<è quanto di più utile per Paolo,
sempre così solitario e poco incline alla socievolezza>>. Alla fine della
settimana la mamma informò anche mio padre, che dopo un primo scuotimento di
testa e qualche riserva sulla reale necessità di una cosa del genere, alla fine
decise, insieme naturalmente a mia madre, di acconsentire e di lasciarmi
provare questa esperienza. Durante la cena fu chiesto anche a me il mio
personale parere, ma io, che non sapevo esattamente neppure che cosa attendermi
da questa prova, mi limitai a fare spallucce, come per indicare quanto la cosa
mi lasciasse piuttosto indifferente. Non era così, ovviamente, e se da un lato
forse sapevo che avrei provato terrore nel ritrovarmi mescolato tra tanti
bambini della mia stessa età ma che non conoscevo, dall’altro mi sentivo
curioso di provare qualcosa del genere. Alla fine, fui iscritto, ed iniziai da
quel momento a contare i giorni che mi separavano dalla partenza.
Adesso
mi viene quasi da ridere ripensando a quel breve periodo, e forse, mentre
consegno la chiave della loro camera ad una coppia di clienti di questo albergo
che sono appena rientrati da un romantico giro serale, avrei voglia addirittura
di condividere con loro la sensazione che provo adesso, simile a quella di
allora. Il luogo restava poco distante, disse mio padre: <<appena ottanta
chilometri da casa nostra; così io e la mamma potremmo venire a farti una
visita durante il sabato o la domenica centrale di tutto il periodo, e vedere
così di persona come ti trovi>>. A queste parole mi sentii rincuorato, ed
il sostegno della mia famiglia, via via che i giorni si assottigliavano,
divenne un vero punto di forza per me, che forse a quel punto, se solo fossi
stato un po’ meno timido, avrei potuto addirittura chiedere di ritirare la mia
iscrizione e di non farne di nulla. Negli ultimi due giorni la tensione che
provavo ormai era altissima, e si era sovrapposta decisamente a quella dei
risultati scolastici dell’anno ormai terminato, più che sufficienti peraltro, anche
se con nessuno lasciavo trapelare il mio reale stato d’animo. Però mio padre,
quando tornava a casa dai suoi giri settimanali all’estero con l’autocarro, mi
spiegava sempre quale importanza avesse conoscere e parlare delle lingue
straniere, ed io, non sapendo esattamente dove si trovasse questa benedetta
Colonia Marina, mi ero quasi convinto che fosse in un’altra nazione, e tutto
ciò mi convinceva che magari ci sarebbe stato bisogno rapidamente da imparare
anche la lingua del luogo.
Partimmo,
affidati ad una maestra che non avevo mai visto, soltanto in una decina di
bambini, seduti dentro ad una corriera azzurra posizionata per raccoglierci
proprio davanti alla Scuola, in Via delle Matite, ma dopo poco, fermandosi
davanti ad altri edifici scolastici, il nostro numero crebbe fino a non
lasciare più neppure un semplice sedile libero. Gli altri ridevano e a volte
urlavano per la contentezza, ed io me ne stavo in silenzio nell’attesa che
finalmente tutto trovasse compimento. Gli altri della mia stessa classe e della
mia stessa scuola, che quindi avrei dovuto conoscere benissimo, improvvisamente
mi apparivano come fossero degli stranieri, e soprattutto non mi riconoscevo
affatto nella loro gioia sfrenata che tentavano di dimostrare. Sapevo che per
me quel periodo sarebbe stato da vivere come in apnea, immerso nell’acqua fin
sopra la testa, dentro un elemento a me estraneo, e che effettivamente la
lingua che tutti avevano già iniziato a parlare e ad urlare non era affatto
quella che avrei desiderato conoscere. Sorrido ancora mentre sto dietro a
questo bancone del ricevimento alberghiero, e riconosco adesso che qualche
lingua straniera in seguito ho iniziato davvero a parlarla e a comprenderla, ma
non certo in quel preciso momento della mia vita.
Poi,
i quindici giorni trascorsero persino troppo svelti, e gli animatori riuscirono
ad organizzare per noi bambini una serie infinita di giochi e di passatempo,
oltre a portarci in spiaggia continuamente e a farci bagnare in quel mare
bellissimo almeno due volte ogni giorno, tenendoci sempre sott’occhio e
spronandoci per provare a nuotare nell’acqua bassa. Gli altri ragazzi non erano
neppure troppo antipatici, anche se non feci qualche particolare conoscenza, e
l’unica cosa che mi parve negativa fu quell’andare a letto tutti quanti alla
medesima ora, ognuno con il numero che contrassegnava il proprio piccolo letto,
quasi sperso in camerate anonime e davvero enormi, ma con delle meravigliose grandi
vetrate coperte da tende che davano direttamente sul mare.
Bruno
Magnolfi