Non ha
alcuna importanza, penso, che l’edificio della scuola elementare che ho
frequentato da bambino adesso non esista più; anzi, forse è persino una buona
cosa, perché mi costringe così a farmi tornare a mente tutti i ricordi di
quell’epoca, e immaginarmi ancora quelle vecchie mura gialline davanti agli
occhi. <<Ti ho visto mentre cercavi di sfilare la figurina dei calciatori
dalla tasca di Renato>>, mi dice qualcuno accanto a me. Mi volto, squadro
allarmato il mio compagno che adesso inizia a ridere, e poi dice:
<<Paolo, sei il solito tonto, ci caschi subito negli scherzi che ti si
fanno, non c’è neppure gusto a prenderti un po’ in giro>>, mi spiega. Io
mi rassicuro, credo di essere uno dei bambini più corretti della scuola, uno
che non farebbe mai una cosa del genere, anche se qualcun altro ha fatto questa
stessa cosa con me, forse perché invidioso che io possegga parecchie figurine.
Per questo ho deciso di non portarne più a scuola così tante, mi basta averne
qualcuna tra quelle rare, per farmi grande, e qualcun'altra tra quelle
piuttosto consuete per scambiarle eventualmente con qualche compagno. Mio padre
è sempre in giro per lavoro, facendo il camionista, e così, considerato che
certe volte non lo vedo per giorni e giorni, acquista sempre per me qualche
bustina con le mie figurine preferite in tutti i posti dove si ferma, e poi me
le consegna in regalo quando ci si rivede, forse anche per farsi scusare del
fatto che lui non è mai a casa.
Certe volte
però sono nervoso: mi agita il fatto che gli altri non si fermino mai ad
ascoltare quello che ho da dire, tanto che ho pensato a volte di avere la voce
troppo bassa, ad un punto tale che a qualcuno è probabile sia passato per la
mente che io parlassi tra me e basta, e non che mi riferissi a qualcun altro.
Però essere ignorato non mi piace per niente: non che mi interessi
particolarmente mettermi troppo in mostra, però quando ho qualcosa da dire agli
altri mi piacerebbe che i miei compagni stessero per un attimo ad ascoltare anche
le mie parole. La maestra ha detto una volta a voce alta che io sono timido, e
a me è dispiaciuto molto, perché in realtà io non vorrei affatto essere timido,
anche se forse è vero che lo sono. <<Bandini>>, ha detto la maestra
con la sua voce squillante. Ed io naturalmente mi sono subito alzato in piedi
pur restando presso il mio banco della scuola. <<Mi hanno detto che tu
tieni un diario delle tue giornate>>, mi ha chiesto d’improvviso, come se
un segreto di quel genere fosse possibile darlo in pasto a tutta la classe in
quella maniera. <<No; non è vero>>, ho detto io con la faccia subito
rossa, cercando di salvare la mia reputazione, mostrando però come la mia voce
stentata stesse solo tentando di coprire la verità negandola spudoratamente. <<Peccato>>,
ha detto subito lei; <<mi sarebbe piaciuto darci un’occhiata, visto che,
quando vi invito tutti a scrivere qualcosa, tu non riesci mai a mettere insieme
neanche una frase credibile>>.
La mamma
anche oggi mi è venuta a prendere davanti alla scuola come ogni giorno, all’ora
del termine delle lezioni, ed io ho subito affrontato l’argomento, con una tale
agitazione da farmi venire immediatamente le lacrime agli occhi. <<Non
c’è niente di male, Paolo>>, mi ha detto lei; <<D’altra parte io ho
cercato di spiegare alla maestra che forse il blocco che dimostri quando scrivi,
forse vale soltanto per quanto riguarda i compiti che svolgete in classe, visto
che a te piace scrivere delle tue cose, e a riprova di questo le ho detto che
tieni un diario, tutto qua>>. Io ho guardato avanti a me, e forse mi ha
fatto bene la calma che ha mostrato la mamma nel dirmi queste cose, al punto
che ho saputo dirle con fermezza che quel diario adesso: <<Non lo tengo
più, e quelle pagine che ho scritto sono soltanto da cancellare>>. Lei mi
ha dato un’occhiata così particolare da farmi comprendere subito che non aveva affatto
bevuto questa bugia, però, per non dare altra importanza alla faccenda, ha
cambiato argomento in fretta, e con una grande sapienza ha parlato di altre
cose.
Difatti, certe
volte penso che la cosa più importante della mia giornata sia proprio il mio
diario: scrivere quello che mi è accaduto, o quello che ho pensato, oppure ciò
che vorrei accadesse, mi fa sentire bene, come se fosse sulla carta una realtà
parallela migliore di quella che mi trovo a vivere spesso in mezzo agli altri. Quanto
pagherei adesso per avere ancora quelle pagine tra le mie mani. Ricordo poco
purtroppo di quel mio diario degli anni della scuola elementare, e molto
probabilmente, quando mi sono fatto più grande, l’ho gettato via con l’indifferenza
che riescono ad avere gli adolescenti quando iniziano a pensare al mondo
soltanto come ad un contenitore di opportunità per il futuro, lasciandosi facilmente
alle spalle tutto il proprio passato.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento