La
prima volta Federica non ne era stata neanche consapevole. Abitava con i suoi
genitori in una casa grande e vecchia, a metà tra la periferia e la campagna, e
da lì percorreva circa un chilometro di strada alberata, bianca e sassosa,
prima di arrivare alla via principale. Da quando aveva compiuto gli anni per
andarsene in giro da sola, lei quel tratto di strada l’aveva fatto ogni giorno,
avanti e indietro, sempre rigorosamente a piedi, perché a Federica piaceva
camminare, anche lentamente nelle belle giornate, e osservare le cose,
ascoltare i suoi passi, respirare nel vento. Arrivava all’incrocio, dove c’era
la fermata dell’autobus, e lì, accanto a quel palo, da quando era diventata una
ragazzina, trascorreva quasi più tempo di quello che aveva passato da sempre in
compagnia con i suoi genitori. Soprattutto perché loro non c’erano mai, sempre
al lavoro nel capannone dell’allevamento dei polli, dove ce ne stavano ben
cinquemila di quelle bestiacce, e nonostante un paio di persone che lavoravano
lì, assieme a loro, in azienda c’era sempre qualcosa da fare. Federica odiava
quei polli, avrebbe voluto andarsene da lì, al più presto possibile, via da
quello starnazzare continuo e da quel puzzo onnipresente. Arrivava a quella
fermata, osservava la strada asfaltata, aspettava il passaggio dell’autobus,
poi lasciava che il rumore delle ruote e del motore sfumasse fino dietro la
curva, e se ne ritornava lungo la strada bianca alberata. Al mattino andava a
scuola, per mezzo dell’autobus, e dopo aver fatto le medie però, pur essendosi
iscritta al liceo con tanti propositi dentro la testa, non aveva socializzato
con nessuna compagna, e spesso, in quei primi due anni, si era ritrovata da
sola, con la paura perenne di portarsi da casa l’odore dei polli intriso dentro
ai vestiti. Poi aveva conosciuto un ragazzo, e per qualche mese aveva sognato.
In un giorno qualsiasi, senza molte parole, era finita, il ragazzo l’aveva
lasciata, e lei, poco dopo, aveva detto a suo padre che a scuola non ci sarebbe
più andata. Suo padre, assolutamente in accordo con i suoi modi e con ciò che
pensava, le aveva semplicemente risposto: “Va bene”, ed era normale, perché
tanto nella loro piccola azienda, secondo suo padre, le braccia non bastavano
mai. E da quel momento lei aveva iniziato a sognare la possibilità di andar via,
in qualsiasi maniera, ma per quanti giornali con inserzioni economiche avesse
guardato, non era riuscita a trovarsi nessun altro lavoro che non fosse
l’accudire quei maledettissimi polli nel capannone accanto alla casa. Così,
arrivata alla soglia dei vent’anni, si era ritrovata spesso da sola, a quella
fermata dell’autobus, a sognare qualcuno che passando la portasse con sé. Arrivava
in fondo alla strada bianca alberata della casa dei suoi genitori, e stava lì,
ad aspettare che l’autobus rombasse fino oltre la curva, e nient’altro. Fu in
questa maniera che un giorno, mentre era accanto a quel palo, si accostò
veramente una macchina, e un ragazzo un po’ buffo si sporse dal finestrino per
chiederle giusto qualcosa sulla direzione stradale, anche se era evidente il
pretesto per parlare con lei. Dopo la risposta cortese di Federica, forse il
ragazzo era già pronto per ripartire, ma all’improvviso parve farsi coraggio, giusto
quello che serviva per dire, con titubanza: “…ma lei, quanto prende?...”.
Federica sorrise, forse arrossì, e per scherzo disse una cifra qualsiasi, la
prima che le venne alla mente, forse per non umiliarlo o solo per darsi un
contegno da donna. Poi salì sopra la macchina, lasciò che il ragazzo facesse un
pezzo di strada fino ad accostare in una piazzola deserta, e si lasciò
palpeggiare, senza far niente. Quando la sera tornò verso casa si sentiva
migliore, anche se non sapeva perchè. In seguito le cose furono semplici: il
ragazzo tornò altre volte alla fermata dell’autobus, più o meno alla medesima
ora, come ad un appuntamento fissato, fino a quando lei disse che non voleva
più soldi da lui, non ce n’era bisogno, e fu allora che il ragazzo le chiese,
se a lei faceva piacere, se poteva accompagnarla fino alla casa dei suoi
genitori, in fondo a quella strada sterrata, che secondo quello che lui
immaginava, doveva essere proprio un bel posto.
Bruno
Magnolfi