Il
disegnatore di fumetti generalmente partiva da un personaggio per poi
costruirci attorno una storia. Era sufficiente che ne disegnasse il viso, i
capelli, i vestiti, le mani, il resto veniva quasi da sé. Tutto dipendeva da
pochi dettagli: stilizzava un’espressione, un gesto, la posizione, e poi tutto
cominciava a ruotare, a prendere forma, come se il suo personaggio uscisse
all’improvviso dal foglio di carta e si disegnasse da solo. Certe volte le
storie che venivano fuori sembravano lo specchio di quello che lui aveva
pensato quel giorno, o che gli era ritornato alla mente da un periodo passato
per chissà quale ragione; ma in certi rari casi nessuna relazione, a striscia
finita, pareva sussistere tra sé e quel suo nuovo fumetto. Ed erano questi i
personaggi a cui lui si affezionava di più. I suoi fogli, disegnati e finiti,
in quelle occasioni pareva prendessero vita, come se avessero voglia di parlare
di se stessi, come se avessero dentro uno spirito, e lui certe volte cercava di
dar seguito a questa esigenza, ma in tanti casi la stanchezza diventava
fortissima, e lui si sentiva stremato, perdeva quella concentrazione di cui
aveva bisogno, e tutto fermava il suo corso. Ma quella sera qualcosa era diverso.
Aveva ritrovato nella confusione del suo tavolo da lavoro, una striscia che non
aveva finito, e si era messo a pensare come poteva continuare la storia. Una
ragazza, sopra al suo motorino, libera, lungo le strade della città. Non sapeva
di molto, ma era un inizio. L’aria fresca della sera sul viso, immagini di
gente sui marciapiedi, negozi scintillanti delle loro vetrine: andare incontro
a qualcosa come sfuggendo a qualcos’altro che sa di saputo, voglia di nuovo, di
diverso da quell’ordinario, e poi i colori, la velocità, tutto alle spalle, in
una ricerca spasmodica di qualcosa che sta un po’ più avanti. Una ragazza come
tutte le altre, come tutte quelle ragazze che hanno quindici, sedici anni, ma
con qualcosa dentro al suo casco che non è proprio da tutti: la voglia
improvvisa di sentirsi diversa, migliore, non incastrata dentro ad un ruolo
egoistico, non un pensiero solo per sé, ma per tutti, come compiere un gesto
che lascia gli altri di stucco, che li fa ragionare, li porti a pensare che non
c’è storia per chi pensa soltanto a se stesso. Le strade, le piazze, continuano
a correre inseguendo il suo motorino, quello della ragazza, e il disegnatore di
fumetti cerca disperato di dar vita al suo bisogno di esistere, di essere al di
fuori di sé, di un disegno finito, completato, esauriente, ma che manca ancora di
spirito. Poi, l’idea finale per il suo fumetto si fa strada poco alla volta,
dentro a un pensiero che diverge dal resto: la ragazza corre da lui, dal
disegnatore strampalato di quei fumetti, a portargli lei stessa il finale di
tutta la striscia, e lui è ancora giovane, dentro al disegno, ha la sua stessa
età, può aspettarla uscire da dentro la carta, da quelle strade grigie che
adesso sanno di lei, della sua libertà, e vogliono assomigliare a quel suo
meraviglioso entusiasmo. Perché è di questo che la città adesso ha bisogno,
della voglia di amore e di gioia che superi il grigio della gente sui
marciapiedi, e dei negozi che continuano imperterriti ad ammaliarla, con le loro
vetrine scintillanti e monotone che non hanno niente di nuovo, e in questo
slancio oltre le cose, tutti possono di nuovo ritrovare le idee, i sentimenti
più forti, l’energia, quella creatività che era venuta a mancare da tempo.
Bruno
Magnolfi
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