Ho
sempre avuto una innata predilezione ad immaginare i pensieri degli altri. Non
ci vuole molto, mi dicevo alcune volte, basta osservare i gesti, l’espressione
di chi sta parlando, le cose che dice e come le dice, e il resto spesso vien
fuori da sé. Eravamo andati ad ascoltare una band, io e la Paola. Era una sera
d’estate, io non avevo quattrini, lei sì. Ci eravamo messi assieme da poco,
forse una settimana, forse due, ma con lei mi ero trovato subito bene, e mi piaceva
parlarle di tutto quello che mi girava nel capo, lei sapeva ascoltare e
riflettere. Conoscevo bene quel gruppo che suonava al campo sportivo in quella
serata, così qualche minuto prima che i musicisti salissero sopra quel palco, avevo
trascinato la Paola a curiosare tra i loro affascinanti strumenti e
l’amplificazione che usavano. Mi piaceva la musica, mi piaceva quel mondo,
trovavo chi sapeva stare su un palco un essere quasi superiore agli umani. Poi,
non so come, eravamo scivolati, quasi per gioco, fin dietro a quel palco dove i
tecnici avevano parcheggiato un paio di grossi furgoni, e in mezzo, coperti
dalla vista di tutti, c’erano loro, semplicemente il gruppo degli Area. A voce
alta avevo detto alla Paola: “Sai, sono loro che suonano stasera…”, e Demetrio
divertito si era girato di scatto verso di me: “già che sai tutto”, aveva detto
ridendo, “perché non mi apri questa bottiglia di birra?”. Così gli aprii la
bottiglia spingendone il tappo su un bordo metallico, e tutti gli altri della
band mi ringraziarono e mi salutarono in piena amicizia. Il concerto
naturalmente fu meraviglioso. Con la Paola non durò molto tempo. Non ricordo
neppure perché ci perdemmo di vista. Poi una sera, dopo un lasso di tempo di
due, forse tre mesi, la rividi, in un posto qualsiasi, per un puro caso. Mi
disse qualcosa, ed io le dissi qualcosa. Forse avevamo ancora voglia di stare
un po’ assieme, così sembrava dalle nostre espressioni, ma lei ci mise nel suo
saluto un ingrediente inconsueto che trascinava più di qualsiasi altro elemento,
come se avesse sofferto qualcosa, come se mi avesse cercato o aspettato per tutto
quel tempo. Rimasi colpito dal suo atteggiamento, anche se vago, non avrei mai
sospettato una cosa del genere, ma naturalmente rimasi indifferente ad ogni suo
modo di fare. Lei allora disse che giorni prima si era messa con un ragazzo che
spesse volte avevo frequentato nel periodo prima di conoscerla, un tipo in
gamba, che mi piaceva, e questo fatto, al posto di farmi ingelosire, mi parve soltanto
leggermente sgradevole. Le chiesi ancora qualcosa, così, per pura curiosità, ma
capivo che lei stava mettendo su tutto ad arte per cercare di smuovermi un po’.
Non finsi alcuna gelosia, nei confronti di lei o del mio amico, semplicemente
non mi aspettavo una cosa del genere, non ne vedevo neanche il senso per tirar
fuori una cosa del genere, lei disse però che il suo nuovo ragazzo le aveva
parlato male di me. Era strano, pensavo, ma lei continuò dicendomi le parole
precise con cui lui mi aveva descritto: “…una persona sola, isolata, un
emarginato politico e sociale…”. Mi parve una cosa brutta, però sorrisi, e la
salutai quando mi accorsi che lei non pensava per niente quello che forse aveva
detto il mio amico, e in più, avendo dato il meglio di sé cercando di farmi
arrabbiare, era subito caduta in una situazione fortemente emotiva, e probabilmente
stava anche per piangere. Ci salutammo, ed io la rimossi dai miei pensieri. Forse
sarà stato per caso, diverse volte ho pensato questo tra me, non lo so perché
mai sia successo, ma in vita mia non ho più incontrato la Paola, e la cosa più
bella è che non ho più visto neppure il mio amico; giuro, non l’ho fatto
apposta, è capitato così, come le cose che a volte ci uniscono e poi ci
separano, e un po’ mi dispiace di non aver più parlato con nessuno dei due, però
è capitato, così come è accaduto che io non sia riuscito neanche a chiedere a
lui, a quello che sicuramente era stato un mio amico, cosa pensava veramente di
me.
Bruno
Magnolfi
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