Si
sentiva un ronzio sordo nell’aria, come se un motore nascosto, o una fonte
energetica di natura diversa, dislocata chissà dove, paragonabile ad un cuore
pulsante, imprimesse vita e calore a tutto il teatro. Si allestivano le
scenografie per una commedia, quella mattina, e qualcuno ai piedi del palco
dirigeva i lavori rovesciando continuamente sugli operai le proprie opinioni
estetiche su tutto ciò che, con una lentezza infinita, si cercava di
posizionare. Due attori provavano un loro dialogo, e gli avvitatori elettrici,
manovrati dai tecnici, continuavano imperterriti a disturbare e a tagliare le
loro parole. L’elettricista era salito sopra il proscenio, a posizionare la
luce dei faretti a seconda le scene che si intendeva ideare, e si muoveva tra i
cavi e i tralicci come un trapezista di un circo. Elena era passata davanti al
teatro, aveva visto una porta socchiusa e si era affacciata all’interno, in
quel buio mescolato all’odore di stoffa e di polvere vecchia. Aveva percorso un corridoio breve e si era
trovata lì, da sola, tra le ultime poltrone della sala, in una zona non
illuminata, e si era seduta. Non aveva più voglia di pensare a se stessa, ai
suoi guai, e una volta tanto aveva avuto voglia di uscire di casa, di svagarsi,
anche se non aveva l’intenzione di andare a vedere le prove, era capitata per
caso da lì. Voleva dimenticarsi per un po’ dei problemi di casa, delle
preoccupazioni che si tirava dietro da tempo senza riuscire a risolvere niente.
Con suo marito le cose non andavano affatto, e lei si sentiva sempre più sola,
senza un sostegno al quale affidarsi. Si sentiva fragile, Elena, una personcina
che amava stare da sola, in un angolo. Abitava vicino al teatro, da molti anni,
da quando si era sposata, e per lei quell’edificio era sacro, quasi un punto di
riferimento. Le piaceva quel mondo, i palchetti, il loggione, gli attori, quel
senso di sospeso e di incerto che c’era tra le quinte e il sipario. Soprattutto
le piaceva star lì, non era la prima volta che andava a vedere le prove. Le
pareva di assistere alla costruzione del mondo, quel piccolo mondo di stoffa e
di legno che prendeva vita ogni sera, che incantava la gente, la faceva
sognare, la portava via dalle loro piccole cose dei giorni qualunque. Stava lì,
guardava gli attori, le luci, le scene che prendevano vita, e si sentiva
felice, al cospetto di qualcosa migliore di lei. Non sapeva perché fosse
attratta dal palcoscenico, lei che non aveva mai avuto talento, in nessun
campo, ma quando si era sposata le era licito tantissimo aver trovato la casa
dove abitare proprio vicino a quel bel teatro. Agli inizi c’erano andati,
qualche volta, lei e suo marito, a vedere grandi commedie, e lei si era sentita
felice. Poi quelle sere si erano diradate, fino ad annullarsi del tutto. Lei,
dopo due o tre volte, non aveva più manifestato la voglia di andarci, non
voleva far fare a suo marito qualcosa che a lui non piaceva, e così aveva
sofferto in silenzio, limitandosi a passare dalla strada dove il teatro aveva
l’entrata, e a sognare davanti ai cartelloni delle commedie. Forse era stato
proprio quello il problema: non essersi mai imposta per niente con suo marito,
aver sempre cercato di acconsentire alle cose che piacevano a lui, senza
recriminare, assentendo in silenzio.
Bruno Magnolfi
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