Giorgio
era felice, non sapeva neppure spiegarsi bene il perché, ma gli sembrava che
tutto quel giorno girasse nella maniera appropriata. La ghiaia scricchiolava
sotto alla suola delle sue scarpe nel breve vialetto alberato che immetteva
alla villa, ed oggi aveva deciso di iniziare le potature dei susini e degli
albicocchi, un lavoro che si prospettava lungo e difficile, e forse avrebbe copiosamente
sudato su e giù per la scala, ma questo era forse quanto gli piaceva di più:
perdere quasi completamente il senso di tutte le cose, faticare da solo stringendo
nelle mani quei sottili rami d’albero troppo svettanti, fino a sentirsi
stremato in quei compiti semplici, in quelle attività che gli parevano certe
volte poco più di una sciocchezza, che peraltro non gli impegnavano troppo la
mente, quasi fossero un automatismo.
Certe volte, quando entrava
timidamente, ma sempre per qualche importante motivo, appena con un piede,
niente di più, con le sue scarpe così poco adatte, dentro all’ingresso di
quella casa maestosa al centro del suo grande giardino, veniva subito colpito
da quell’aria che si respirava là dentro, sempre un po’ tesa, con la signora
dai modi spesso nervosi, l’ingegnere con il suo sguardo che pareva folgorare, i
ragazzi sempre in silenzio, mai una risata serena, immobili nei loro
atteggiamenti educati e composti. Giorgio lavorava da anni a quel loro giardino,
tanto da conoscerlo come una parte stessa di sé, eppure continuava a sentire la
grande distanza che lo separava da quei proprietari, come se fosse quasi
impossibile ammettere di essere fatti ugualmente di carne e di ossa.
Ma a lui non importava, certe volte
si sentiva talmente contento di quella sua vita, di quel contatto bellissimo e
continuo con la natura e con le stagioni, da sentirsi capace di fare a meno del
resto. E quel giorno un sole caldo e incoraggiante era sorto alle spalle di una
sottile tramontana che aveva spirato per quasi tutta la notte: Giorgio lo sapeva
che la giornata sarebbe stata bellissima, e quel primo sole caldo lo aveva
piacevolmente accompagnato lungo il tratto di strada che lo separava dalla sua
abitazione modesta fino a quel vasto giardino. Era presto, la villa pareva
ancora immersa nel sonno, lui era andato nella sua rimessa, aveva tirato fuori
gli utensili, aveva preparato tutti gli attrezzi per portare avanti il lavoro,
poi si era fermato un momento sopra al piazzale di terra battuta.
La signora dalla finestra del primo
piano lo stava guardando, lui per un attimo aveva fatto finta di niente, poi
aveva alzato la testa e le aveva quasi gridato: buongiorno!, come a cercare di
spartire con lei almeno una parte di quella felicità che si sentiva traboccare
da tutte le parti. La signora aveva soltanto mosso una mano, senza cambiare
l’espressione del viso, aveva mostrato con grande evidenza che per lei non
sarebbe stata affatto una buona giornata, poi era rientrata dentro la stanza.
Giorgio avrebbe voluto fare qualcosa per lei, mostrarle la strada per arrivare
a farla sentire contenta, ma gli pareva impossibile, non sarebbe mai riuscito a
spiegare a nessuno quale poteva essere quel suo segreto, se mai di segreto si
poteva parlare. Infine si mosse verso il frutteto, e quando si accorse che la
signora era uscita da casa e si era accostata dietro di lui quasi a spiarne le
mosse, gli parve già un buon risultato.
Si volse Giorgio, proprio verso di
lei che restava ferma a sette o otto passi da lui, la guardò con il suo sorriso
di sempre, pensò per un attimo qualcosa da dirle, qualcosa di bello, di
piacevole, forse di divertente, ma alla fine rimase in silenzio, quasi impercettibilmente
turbato. Si poteva pensare, a giudicare dalla sua espressione, che la signora
avesse voglia di piangere, chissà poi per quale motivo, pensava Giorgio, e chissà
poi perché veniva proprio da lui che in fondo era soltanto un povero
giardiniere. Lei intanto aveva continuato a guardarlo, aveva lasciato in aria una
breve pausa, si era lisciata quasi per vizio il vestito, poi a voce bassa aveva
detto soltanto: devi cercarti un altro lavoro, Giorgio; mio marito ha deciso
che non servi più in questa casa.
Bruno Magnolfi