La
mie mani adesso sono strette a pugno, lentamente le apro, ma dentro non c’è
niente, neppure una traccia di tutto ciò che hanno toccato, sfiorato, stretto,
come se ogni oggetto, ogni gesto, qualsiasi azione fosse stata cancellata, e forse
penso sia risultata sufficiente un poco d’acqua semplice, strofinarle insieme per
pulirle con un normalissimo lavaggio, e via, tutto nello scarico. Mi alzo dalla
sedia, penso a quante cose rimangono ogni momento alle mie spalle, quante sono
già rimaste in tutti questi anni: perdute, dimenticate, inservibili persino nel
grande alveo delle esperienze, quelle che formano opinioni e lasciano maturare
le idee, certe volte, ma che in altri casi restano lì, senza alcun seguito,
come semplici cose morte.
Guardo
ancora le mie mani, e resto convinto che potrebbero forse dire molto, con tutte
le loro pieghe ramificate dentro ai palmi, alle dita distese, ai polsi ancora
forti, eppure le guardo, continuo a guardarle, e non riesco ad avere alcun
pensiero, nessuna riflessione, nonostante cerchi a lungo di conservare la
concentrazione. Queste mani sono cresciute con me, mi hanno aiutato in tutte le
fasi in cui le mie idee hanno sentito la necessità di prolungarsi in un atto,
in un gesto, in una qualsiasi attività, spesso risultando assolutamente
necessarie al conseguimento dei fini che io mi ero proposto, tutto ciò che
avevo già immaginato, le cose che avevo pensato di fare.
Stanno
ferme adesso, immobili, come se ormai non trovassero altro da fare che starsene
lì, dentro una tasca, o appoggiate sopra al tavolo, in fondo alle braccia quasi
inerti, senza più niente di cui occuparsi. Poi mi muovo, sistemo qualcosa
dentro casa, riordino gli oggetti usuali che forse servono soltanto per farmi
sentire ancora vivo, padrone di questo tempo e di questo mio piccolo mondo, ma
tutto sembra solo una semplice ironia: le mie mani si muovono veloci, risolute,
occupandosi di elementi poco significativi, quasi senza importanza, ed io so
che in questo modo riesco soltanto a riempire un vuoto che in altro modo
apparirebbe come una ferita.
Dietro
ad un mobile scopro delle vecchie fotografie, immagini che rimandano a
qualcos’altro, ad altri tempi, a certi periodi per antonomasia più felici, e mi
viene da sorridere guardandole: le mie mani erano lì, anche in quei momenti, sempre
con me, mentre venivano scattati quei ritratti; forse immaginavano già
l’indolenza e l’apatia in cui sarebbero cadute insieme a me prima o poi, eppure
non indicavano niente che mostrasse questa consapevolezza. Continuo ad
osservare quelle foto, ed immagino altre mani da cui saranno tenute prima o
poi, forse anche quelle che con un gesto rapido le getteranno via, come oggetti
ormai inservibili, proprio come tante altre volte le mie stesse mani hanno
cercato di riassumere tante cose dentro un gesto solo, in una mossa unica.
Torno a sedermi: le mie mani sono con me, forse è davvero tutto ciò che mi
rimane.
Bruno
Magnolfi
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