Non c’è una ragione precisa che mi spinga ad andarmene
via; eppure è sufficiente che io chiuda gli occhi, mi assenti da questa
semplice quotidianità, tolga il presente da tutti i miei pensieri, per sentirmi
con naturalezza subito lontana, via da tutto, da tutto ciò che ogni giorno mi
circonda, tutto ciò che oramai sento spremuto fino all’osso, che non mi offre
quasi più nient’altro di tutto ciò che sento di aver già avuto, quasi come se
niente di questo ormai mi appartenesse, o come se io non appartenessi più a ciò
che forse vorrei ancora. Penso confusamente queste cose mentre esco, la
borsetta con le solite cose, la gonna che rammenta la mia femminilità.
Mi inchino per un attimo, quasi per abitudine,
aggiustando il fermaglio di una scarpa dal suono secco che fa il tacco sopra al
pavimento: poi chiudo la porta, un altro suono fermo, deciso, senza alcuna
possibilità di sfumature. La giornata è bella, piena di sole, vorrei soltanto
potermi soffermare ad aspirarne il sapore, sentirne sulla pelle la piacevolezza
che riesco solo a immaginare. Vado, devo spingermi oltre, lo so, ne ho piena
consapevolezza. Gli altri intorno sembra che si spieghino tra loro le medesime
cose di sempre, ma non importa, non provo alcun minimo interesse a vivere
diversa da me stessa. Mi spingo avanti, non so neppure verso dove, eppure so
che uno scopo mi attrae, ci deve essere per forza qualcosa oltre le lacrime che
velano il mio sguardo.
Lungo il marciapiede mi salutano, sorrido, non ci vuol
niente ad essere cortesi, in questo quartiere mi conoscono, eppure so che
questa falsità di cui tutti siamo consapevoli non porterà niente di buono,
prima o poi presenterà il suo conto, dovremo allora essere onesti. Mi spingo
oltre, devo percorrere la strada che mi è più congeniale, nessun dubbio neppur minimamente
può incrinare la mia consapevolezza. Eppure le mie convinzioni si
ammorbidiscono mentre cerco qualcosa senza importanza dentro la mia borsa, e
forse vorrei urlare qualcosa che non ho assolutamente chiaro, e dire a voce
alta a tutti quanti che sto male, ma che non so neppure io perché, e che forse
se ne avessero la voglia di rifletterci, anche loro probabilmente si
renderebbero conto di star male, perché è solo una finta quella del
compiacimento di queste stupidaggini, e che alla fine non è vero che siamo tutti
dalla stessa parte: anzi, probabilmente siamo costantemente in una aperta competizione,
immersi in una forte, terribile competizione; e tutto ciò soltanto per riempire
questo vuoto, quello che anche io sento proprio adesso, che sento qui, da
qualche parte.
Mi rifugio in un negozio, uno qualsiasi dove sono stata
già parecchie volte, osservo le cose, saluto, mi guardo attorno: non ho più
alcuna certezza, potrei acquistare qualche cosa, adagiarmi sopra le solite abitudini,
ma anche se non voglio essere così, non riesco proprio a pensare qualcosa di
diverso. Esco, la giornata è ancora la medesima, non è successo niente se non
dentro di me, ma io sono una spugna, riesco ad assorbire qualsiasi cosa, tutti
possono continuare a salutarmi ed io a sorridere fino alla nausea, se mai
questa si farà davvero avanti. Poi mi inchino nuovamente e con un gesto secco
mi slaccio questi stupidi sandali primaverili con il tacco, li tolgo dai piedi con
gesto rabbioso e li getto lontano. Rido senza vergognarmi mentre cammino scalza
lungo il marciapiede, qualcuno evita il mio sguardo: ma il mio percorso è solo
iniziato.
Bruno Magnolfi
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