lunedì 4 aprile 2011

Nel disegno della fantasia.

            
            Qualcosa sbatte fuori dalla casa, forse mosso dal vento freddo e antipatico di questa serata. Una presenza inquietante, un esterno che reclama qualcosa per sé, forse solo attenzione, oppure il semplice comprendere la natura delle cose. Ennio si alza, si avvicina ad una finestra, scosta la tenda e guarda fuori, proprio là, dove non c’è niente di invitante e tutto sembra oscuro e identico, quasi inamovibile. Poi riaccosta la tenda e torna alla sua comoda sedia con braccioli, mentre la radio nella stanza prosegue con i suoi notiziari intervallati da musica soffusa, quasi distensiva, se non fosse che questa va inesorabilmente a cozzare con la serata più inquietante tra quelle che Ennio ricorda da molto tempo a questa parte, proprio forse per quel vento che da ore ormai non accenna a diminuire.
             Non succede niente di particolare, tutto appare come al solito, eppure è come se da un attimo all’altro potesse manifestarsi l’epilogo di tutto, quasi che una forza superiore tenesse in mano quei minuti e quelle ore meditandone la fine. La continua trasformazione delle cose è solo una maniera per evitare di annoiarsi, pensa Ennio; di fatto non sostituiamo mai troppo tra tutto quello di cui l’abitudine ci ha reso schiavi, e il solo pensiero di poter fare a meno di qualcosa, non è mai neppure preso seriamente in considerazione. Ennio si alza, prende in mano dalla libreria un vecchio romanzo che ha già letto, riflette sul titolo che per la prima volta gli appare bello, insolito, appropriato, poi torna ad infilare il volume nello stesso spazio da dove è stato preso.
            Il vento adesso sibila leggermente, e da qualche parte gli strani colpi irregolari continuano esattamente come prima. La radio mette in onda le medesime notizie precedenti, sembra che niente di nuovo negli ultimi minuti si sia verificato di minimamente rilevante. Ennio torna a sedersi e immagina di guardare di nuovo fuori da una delle sue finestre: è buio già a pochi metri da quei miseri lampioni che illuminano appena davanti a loro stessi, e si intravedono soltanto in lontananza le sagome degli alberi che lasciano muovere le loro chiome nei colpi d’aria continui di quella strana serata. Un uomo, con le mani affondate nelle tasche, rimane fermo in fondo alla strada, lasciando che il vento gli spazzoli il soprabito. Guarda qualcosa davanti a sé, forse proprio la finestra da cui Ennio osserva la serata, e per un attimo probabilmente i loro sguardi si incrociano, ma subito dopo le rispettive solitudini riprendono immediatamente la supremazia su ogni altro pensiero.
            C’è da starsene poco tranquilli, pensa Ennio, ci vuol niente per sconvolgere per sempre la vita ordinaria di una persona qualsiasi. Poi si alza, si accosta alla finestra e constata con sollievo che non c’è nessuno fermo laggiù in fondo alla strada, come aveva immaginato. Il vento prosegue il suo percorso, la radio costituisce una presenza di normalità, niente in fondo pare oscurare veramente la serata, se non quei colpi lontani che ancora si ripetono, e che mostrano quanto incomprensibile sia ancora la realtà, quanto distanti le cose da prendere seriamente in considerazione. Infine Ennio indossa velocemente il suo vecchio cappotto ed esce sulla strada, a rendersi conto di persona che cosa sia quell’inquietudine che quasi non gli concede più respiro: l’uomo che aveva immaginato è lì, lo vede, nel vento, lontano dai lampioni, e lo attende, proprio come se lo era immaginato, con le mani affondate nelle tasche ed il viso senza alcuna espressione, e niente c’è davvero di diverso da quello che lui aveva poco prima sospettato.


            Bruno Magnolfi

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