Sono
un collezionista, inutile negarlo. Ho memorizzato i gesti, le espressioni, i
modi di comportarsi e di parlare di decine di persone, e le ho condensati
dentro di me, restituendo quasi inconsapevolmente, in ogni momento della mia
giornata, una raccolta completa di tutto questo mio lavoro. In tanti anni ho sempre
cercato di perdere del tutto le mie caratteristiche più personali, ed ho
lasciato spazio a tante altre cose da cui, in un periodo o in un altro, sono
rimasto colpito, o che ho semplicemente visto fare o dire da qualcuno. Adesso
nessuno di quelli che a volte incontro si accorge di niente, è soltanto una
cosa che ha valore per me quella che continuo a portare avanti, e che naturalmente
conosco soltanto io, però mi sembra di avere in questo modo un grande rispetto
per tante persone che prima o poi sono riuscito a conoscere, e qualcuno di
queste magari l’ho visto appena una volta o due, anche se in fondo io cerco
semplicemente di memorizzare e di interpretare in qualche maniera soltanto un
piccolo frammento dei modi di essere di ciascuno.
Non
ho mai potuto spiegare bene tutto questo perché mi hanno sempre fatto davanti
le solite espressioni divertite, prendendomi per uno che probabilmente non ci
sta con la testa. Ed invece io qualche volta ho proprio cercato al contrario di
spiegare quanto cervello ci volesse per fare una cosa come la mia. Ma non c’è
stato niente da fare, e quando ho iniziato a mimare certe piccole espressioni
che ho visto fare a più d’uno, ecco che hanno subito pensato che fossi proprio
uscito di senno. Il mio è un lavoro da attore, ho detto a voce alta qualche
volta, ma nessuno mi ha dato retta, e mi hanno sempre lasciato da solo,
ignorato da tutti, a portare avanti il mio nobile lavoro.
Ho
sempre seguito la mia vocazione, per nessun motivo ho pensato di smettere e di lasciare
che gli altri iniziassero a guardarmi come una persona qualsiasi. Non perché
non volevo esserlo, questo è il punto; quanto perché la mia normalità sta
condensata nei gesti e nelle espressioni di tutti, che io ho recuperato per
dare ad ognuno perfino una maggiore importanza. Ma perché continuo a spiegarlo
ancora, mi chiedo; è bene lasciar perdere, tanto più che mi sento sempre più
evitato, e alla fine la mia testardaggine non porterà certo a niente di buono.
Così
esco, vado al caffè, strizzo gli occhi come fa il barista, ma non cerco più di
dirglielo, altrimenti mi intima di non entrare più nel suo locale. Allora mi
guardo attorno, mi accosto ad un tavolo dove stanno portando avanti una partita
a carte. Qualcuno fa una smorfia e mi dice di allontanarmi, perché teme gli
porti soltanto sfortuna, ed io lo accontento subito annuendo con la medesima
smorfia che mi ha fatto lui. Cosa importa se mi trattano male, penso; alla fine
riesco a portare con me qualcosa di loro, senza che neppure se ne accorgano. Mi
sento ricco di questo, è come se potessi avere in una tasca tutti loro. Esco dal
locale e me ne torno verso casa. Un giorno mi metterò a descrivere in ogni
dettaglio i particolari che ho notato nella gente in tutti questi anni. Ne farò
un bel libro e poi lo regalerò in giro a quelle stesse persone che me lo hanno
ispirato. Sarà la mia rivincita, penso, e forse per allora la mia collezione spero
sarà proprio completa.
Bruno
Magnolfi
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