Lascialo fare, è un
contaminato, aveva detto il miliziano ad un uomo del popolo, indicando il corpo
sdraiato la cui pelle stava velocemente scurendo. Le grandi ruspe di Stato
continuavano intorno a manovrare con enorme stridio di cingoli, spianando le
macerie delle case accumulatesi quasi in piccole colline, specialmente in
quegli ultimi tempi, quando erano stati più massicci i bombardamenti della
notte, spandendo il materiale cementizio su un enorme raggio di territorio, e andando
a costituire un suolo uniforme e compattato, dove probabilmente non sarebbe più
cresciuto nulla per decine d’anni, a meno che qualcuno in seguito non avesse
deciso di rimuovere tutta quella polvere e quella massa immensa di calcinacci e
di materiali inerti.
Alcuni uomini del
popolo vagavano da quelle parti senza una meta precisa, forse ricordando una
strada in quei paraggi, o una casa, o chissà cos’altro nei dintorni di quell’attuale
nulla assoluto. Un uomo spiegava ad un altro con soddisfazione di avere
imparato a dormire sopra la sua spalla destra nel giaciglio, in maniera da
avere sempre davanti a sé la maschera antigas di dotazione, nel caso si fosse
avvicinato durante la notte qualcuno dei contaminati. Non c’era niente di male
nel mettere in campo tutte le precauzioni possibili, questa era la logica, ed
anche se ogni giorno i contaminati venivano caricati su appositi autocarri
attrezzati e trasportati in tutta fretta in lontani luoghi di raccolta,
ugualmente ogni notte ne uscivano fuori sempre dei nuovi.
Lui in fondo si
sentiva indifferente a tutto questo: se ne sarebbe andato uno di quei giorni,
questo era il punto, e avrebbe raggiunto qualche parte così lontana da lì che
di quegli argomenti non ne avrebbe più saputo niente. Per il momento continuava
a girare nel quartiere per farsi un’idea completa di tutte le cose, per il
resto si sentiva pronto, non gli pareva neanche più di far parte di un vero territorio,
di un paese, una città. Anche se molte parti di quella zona erano ancora in
piedi e in qualche modo funzionavano, ugualmente ogni profilo di luogo vivibile
là attorno aveva perso secondo lui di credibilità, di efficacia, come ne fosse rimasta
soltanto un’ombra immateriale, che se anche cercava di portare avanti le cose
di sempre, pareva adesso soltanto un elemento assurdo, quasi ridicolo.
Andarsene da lì,
pensava lui per tutto il giorno, anche a rischio di trovare le stesse cose da
ogni parte, perché nessuno da due anni forniva informazioni, non si sapeva cosa
fosse successo in altri luoghi, e con l’esaurimento finale dei carburanti non
c’era stata più una sola persona a tentare di muoversi a piedi. Ma lui si, lui
lo avrebbe fatto, anzi gli pareva l’unica cosa vera da fare, il solo mezzo per
scoprire cos’era successo anche in altre zone. Aveva una bussola, una penna,
della carta, un paio di scarpe di ricambio, e gli pareva ormai che i tempi
fossero maturi.
Aveva raccolto tutte
le informazioni che riteneva necessarie, e se anche avesse trovato sulla strada
qualche miliziano poco amichevole, nessuno di loro di fatto lo avrebbe fermato
veramente, convinti com’erano tutti della morte certa oltre le colline.
All’alba perciò aveva sistemato la sua roba e si era appena disposto alla
marcia, quando aveva messo male un piede sopra un pezzo di cemento. Era anche caduto
a terra, e la caviglia gli si era subito gonfiata: distorsione, diceva la sua
esperienza, la cosa più stupida che poteva accadergli. Si era steccato il piede
con due tavolette di legno legate strette tra di loro, aveva strinto i denti e infine
si era ugualmente incamminato, pur zoppicando vistosamente. Basta, pensava
osservando quei fantasmi che vagavano ancora in mezzo alle macerie, non avrebbe
resistito più neppure un’ora in quel luogo che lasciava; in fondo, rifletteva,
da quelle parti lui c’era solamente nato, come tanti ci aveva vissuto tutta la
sua vita fino a quel momento, ma poi, oltre queste cose, praticamente non ce
n’erano neppure altre che lo legassero veramente ancora lì. Tanto valeva
lasciarle indietro tutte per dimenticarsele.
Bruno Magnolfi