giovedì 7 febbraio 2013

Senza ragione.


           

            Mi sono messo seduto da solo nella saletta del bar, come al solito a quest’ora, ad attendere l’arrivo degli altri ragazzi per la partita alle carte come ogni pomeriggio. Mi piace arrivare per primo qua dentro, mi sembra di poter dominare in qualche maniera i tavoli da gioco, ambientarmi nel locale per quanto possibile, e insomma stare maggiormente a mio agio. Il barista mi conosce, come arrivo mi serve la solita birra e mi lancia qualche battuta, poi lascia che io me ne stia per conto proprio a sfogliare qualche giornale sportivo.
            Così poco dopo arriva un tipo mai visto prima, e mi fa: sei tu che dici in giro su di me delle cose inventate? Io faccio di no con la testa, non ho mai visto prima quel tizio, non è mia abitudine dire cose false. Ma lui non si da affatto per vinto, e insiste: devi smetterla bello, dice con decisione, altrimenti sarà un grosso guaio per te. Io non so che dirgli, mi scappa quasi da ridere per quella situazione ridicola, ma riesco fortunatamente a restare serio e in silenzio.
            Quello continua a guardarmi fisso, si abbassa su di me e mi dà dei colpetti sul petto con la punta delle sue grosse dita. Non sono quello che credi, fa, posso dimostrartelo in qualsiasi momento. Non ho mai avuto problemi di alcun genere, non posso certo lasciare adesso che una mezza cartuccia come te mi faccia montare su il nervosismo. Perciò piantala, altrimenti ti succede qualcosa di brutto. Poi si gira ed esce dalla saletta. Incrocio lo sguardo con il barista che sta sistemando tazze e bicchieri senza preoccuparsi di altro, io mi muovo sulla mia sedia e cerco di pensare a qualcosa che possa aver relazione con il tizio che se n’è appena andato, quando quello ecco che torna. Credo abbia sbagliato persona, penso, ma non so come dirglielo, anzi, siccome è la scusa più stupida che si sia mai sentito, evito del tutto di spiegarmi con una cosa del genere.
            Adesso lui non dice più niente, però si piazza lì, da una parte, come volesse spiare i miei comportamenti. Cerco di fingere indifferenza, ma non è facile, e i ragazzi delle carte sembra che oggi non ne vogliano proprio sapere di venire a giocare su questi tavoli. Allora finisco l’ultimo sorso di birra, mi alzo con calma e vado verso il bancone, dove appoggio il bicchiere ormai vuoto. Ne vuoi un’altra, dice il barista. Faccio di no con la testa, ma sento che il tipo mi osserva, così non riesco neppure ad essere naturale, anche se non so cosa fare, oltre a starmene lì a guardare qualcosa nel vuoto come un idiota.
            Quello si muove, mi passa vicino, si fa preparare un caffè e intanto mi osserva la nuca. Ho visto di sfuggita che ha lo sguardo ancora più cattivo di prima, ed ho paura che voglia fare qualcosa, così prego dentro di me che arrivi qualcuno per togliermi da quell’imbarazzo. Il barista serve il caffè e si disinteressa di tutto, tanto da andare a prendere dello zucchero nel magazzino sul retro. Penso qualcosa, ma non sono convinto di niente. Alla fine mi giro, guardo dritto il mio uomo, ma quello mi evita, si sposta con indifferenza su e giù, poi fa un gesto col braccio, come a voler cancellare la mia presenza dal suo campo visivo.
            Mi muovo, vado verso la porta per vedere se stanno arrivando i ragazzi, e all’improvviso sento una botta alla spalla sinistra. Mi volto di scatto, il tizio mi ha colpito con qualcosa che tiene dentro una mano, poi mi scansa con una certa violenza ed esce prima di me dal locale, come avesse una fretta improvvisa. Giunge uno dei ragazzi per giocare alle carte, mi vede pallido, con l’espressione di chi non ci capisce un bel niente. Non preoccuparti, mi dice; le cose in qualche maniera si sistemeranno.

            Bruno Magnolfi 

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