lunedì 25 febbraio 2013

Mosche morte.


            
            Già da un po’ di tempo avevo deciso di non morire. Troppe cose interessanti ci sono nel mondo, pensavo, troppe curiosità che ho bisogno ancora di togliere dai miei pensieri, non posso lasciare che una cosa così stupida eviti il compimento dei miei percorsi. Ma poi qualcuno degli altri con i quali siamo rinchiusi qua dentro, mi ha fatto capire che probabilmente non usciremo mai più da questa clinica, ed io anche se non ci ho creduto, poco per volta, senza affannarmi, ho cominciato a cambiare la mia idea.
            La cosa che non sopporto di questo posto, è che ci sono le mosche. Gli infermieri mi fanno tre iniezioni ogni giorno, per farmi stare tranquillo, mi dicono. Ed io dormo bene, sono contento, specialmente la notte. Ma quando mi sveglio al mattino ecco che avverto subito il ronzio tipico della mosca che avanza verso di me. Mi copro la faccia con tutto il lenzuolo, ma c’è poco da fare.
            Gli infermieri non sono cattivi, svolgono soltanto il loro mestiere, penso, però sembra proprio che a loro le mosche non diano neanche noia, come non ci fossero neppure. Perché non parli, mi chiedono quasi ogni giorno, ma io continuo a mugugnare qualcosa tra me e basta, che senso avrebbero le mie parole nello spiegare a questa gente la mia decisione di lasciarmi alla morte? Passeggio nel corridoio, e le mosche sono lì, che si scaldano al sole vicino alla vetrata. A volte mi chiedo come abbiano fatto ad entrare, visto che ci sono delle inferriate robuste alle finestre, ma poi lascio perdere, troppe domande non serviranno mai a niente.
            Adesso non so quando riuscirò a morire veramente, penso, considerato che comunque mi sento ben convinto di ciò che ho deciso, però credo che quando uno rinuncia a qualcosa, è normale poi che ci voglia del tempo prima che le cose si mettano in pari. Ma intanto queste mosche non si risparmiano, e volano, ronzano, sembra non abbiano altro da fare. Io ho trovato un giornale, l’ho arrotolato e penso che potrei utilizzarlo per scacciarle.
            L’infermiere mi sistema nel letto, mi fa l’iniezione come sempre, guarda il giornale che mi sono messo accanto e mi chiede se abbia voglia di leggere prima di prendere sonno. Può darsi, penso senza rispondere niente, ma l’infermiere credo capisca ugualmente anche se non ho detto nulla, difatti sorride e va via, ad occuparsi degli altri. Poi mi addormento.
            Quando mi sveglio sento le mosche che ronzano, allungo una mano, prendo il giornale e subito ne schiaccio una contro il muro accanto al mio letto, poi un’altra sulla coperta, e vado avanti, ormai non posso più fermare il mio impeto. Arriva l’infermiere, io mi agito ormai in piedi sul letto, ho deciso di morire, gli dico ridendo e a voce alta, voglio fare la stessa fine di queste mosche. L’infermiere mi prende per le spalle, mi sistema seduto sul letto, mi racconta qualcosa che non capisco, ma lo fa con voce garbata, come raccontasse una favola, e a me pare quasi che quelle mosche schiacciate, che adesso non infastidiscono più, all’improvviso riprendano vita, e volino via, tutte insieme, a curiosare fuori da qui, tra le cose del mondo, e in un attimo, in contraddizione evidente con quanto pensavo fino adesso, ne sono perfino contento.

            Bruno Magnolfi

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