venerdì 5 luglio 2013

Risate sforzate.

            
            Certe volte mi metto qui, seduta, quasi senza pensieri. Osservo i colori del tramonto, mi meraviglio delle sue sfumature, e lascio che la prima sera mi sollevi da questa panchina e mi porti via con sé, quasi con naturalezza. Rientro a casa come alleggerita della mia solitudine, praticamente soddisfatta per aver partecipato come spettatrice a questa manifestazione di natura, e d’improvviso, salendo i gradini del palazzo dove abito, mi sento bene, pronta ad affrontare le piccole cose ordinarie e qualche volta pesanti da cui sono circondata. 
            La mia vicina di pianerottolo spesso mi osserva rientrare dalla sua finestra: non dice niente, si limita a salutarmi sempre nella medesima maniera quando mi incontra. Non esprime mai un giudizio sui miei comportamenti, non allunga mai una parola in più, ma io so benissimo che non è d’accordo su come io affronto le giornate. Una volta la settimana pulisco le scale del nostro condominio, e gli altri giorni, rigorosamente durante la mattina, vado a fare la stessa cosa in altre palazzine del quartiere. In tanti mi salutano e parlano con me, credo di essere piuttosto benvoluta da tutti coloro che mi conoscono e mi vedono sempre indaffarata.
            Buongiorno, mi dice al contrario la vicina senza alcuna enfasi. Lei spazza la soglia del suo portoncino, scuote la stuoia che usa per pulirsi la suola delle scarpe, osserva il corrimano per vedere se c’è sopra ancora della polvere, o se qualche cicca di sigaretta sia rimasta in un angolo tra due gradini. Buongiorno, le rispondo, e al pomeriggio vado come sempre ai giardinetti poco distanti, a mettermi seduta per un’ora a leggere qualcosa, e ad aspettare che la sera mi regali di nuovo i suoi colori, fino a poco prima che la luce inizi a scarseggiare. 
            Lei mi osserva dalla sua finestra, forse anche da lontano mentre resto seduta alla panchina: immagina qualcosa di me che non riesco a togliere dalla sua mente, neppure cercando di fare tutto quanto al meglio che posso. Lei vuole mostrarmi che mi guarda, ed il suo sguardo è giudicante, anche se non si permette mai di dire una parola su di me, o sul mio lavoro.
            Vado avanti a fare la vita di sempre, però mi logoro ad incontrarla sulle scale o sulla strada davanti al nostro condominio, ed ultimamente ha iniziato a darmi fastidio anche il suo saluto, così privo di accenti, come un verso o un gesto ripetuto meccanicamente, che non dice alcunché dei suoi pensieri.  Certe volte vorrei affrontarla, chiederle cosa ci sia che non va, piangere con disperazione di fronte a lei e mostrarmi debole, pronta a contentarla se mai ci fosse questa possibilità. Invece tutto va avanti ogni giorno come sempre.
            La ripetizione dei gesti e dei comportamenti mi sta portando verso un punto di saturazione, però dico sempre dentro di me che devo resistere, devo cercare di fare in maniera che tutto questo risulti qualcosa che mi è estraneo. A volte penso che dovrei allontanarmi da tutto, prendere per strada e andare dritta, senza voltarmi, e tornare indietro solo dopo che qualcuno avrà iniziato a notare la mia assenza. Non provo odio per la mia vicina, però farei di tutto per ottenere che il suo sguardo mi evitasse, che andasse a posarsi su una qualsiasi altra persona. Stasera l’ho guardata fissa mentre mi guardava: mi sono messa a ridere, e poi ho tirato dritto. Farò così d’ora in avanti, mi sforzerò di divertirmi dei suoi comportamenti, come di un clown sulla pista del circo.

            Bruno Magnolfi

            

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