Un uomo non è mai del
tutto libero, dicono, tantomeno se si chiama Ernesto, così come si chiama lui,
e se come lui va tutti i giorni a piedi dalla sua catapecchia fino alla
frazione Ramazzotti, per lavorare come bracciante, a giornata, come gli altri,
nel podere di quei Conti Lanzi, proprietari dei terreni. C’è un caporale là sul
posto, ogni mattina li aspetta, ed impartisce gli ordini, poche parole
essenziali dette in malo modo, con voce rauca e decisa, con le maniere di chi
considera quella manciata di lavoratori quasi una semplice nullità. Sono in
cinque, a volte in sei, ma Ernesto è l’unico italiano, gli altri sono tutti
senegalesi, conoscono poche parole nella lingua di quel caporale, ma ugualmente
capiscono tutto alla perfezione.
Ernesto non parla con
nessuno, ascolta i comandi, ripete a volte le parole dentro di sé, poi abbassa
la testa, mostrando segno che ha compreso, e subito si muove, prende gli
attrezzi che gli servono, si mette a lavorare, insieme agli altri. Mentre suda
sotto al sole pensa che fra qualche giorno sarà sabato, la sera indosserà la
sua camicia pulita, andrà a piedi di nuovo, come tutti i giorni, fino alla
frazione Ramazzotti, al circolino del paese, e passerà la sera a bere e a
ridere insieme agli altri uomini. Al circolino i senegalesi non ci vanno,
restano tutti nella loro stalla anche al sabato, e non si fanno mai vedere in
giro quando gli uomini del posto hanno bevuto e parlano tra loro a voce alta.
Ad Ernesto non
importa, ride quando gli altri ridono, lascia che qualcuno lo prenda in giro
come sempre, si sente ogni tanto al centro dell’attenzione e forse non gli
importa d’altro, almeno al sabato. Però non gli piace quando qualcuno parla
male dei senegalesi, e dice qualcosa contro di loro soltanto perché appaiono
differenti. Non sono suoi amici quei ragazzi magri e neri, non ha molto da
spartire con loro, lo sa bene, però quelli sudano sotto al sole insieme a lui,
e questo per Ernesto è forse più importante d qualsiasi altro elemento.
Sarai mica diventato
come loro, gli dicono a volte al circolino, e lui quasi sempre se la ride. Poi però
lo spingono fuori, durante un giorno forse un po’ diverso, e hanno la faccia
brutta, gli dicono a muso duro che almeno quella sera lui deve andarsene da lì,
sei soltanto come loro, gli ripetono, nessuno ride, e qualcuno da dietro gli
assesta all’improvviso una legnata nella schiena. Ernesto cade subito a terra
nella polvere della strada davanti al circolino, nessuno lo difende, nessuno
gli chiede di rialzarsi, se ne vanno, e a lui pare impossibile che stia
accadendo tutto questo.
Ma non è tanto grave
per una pelle dura come lui, si rialza da solo, si mette a camminare, si sente
soltanto un po’ dolorante dappertutto, ma ce la fa a ritornare alle sue due
stanze dove abita. Gli viene da piangere mentre percorre al buio tutto quel
tratto di strada che lo separa dalla sua branda, c’è qualcosa sicuramente che
non ha capito, qualcosa che non vuole proprio entrargli nella testa. Adesso però si sente un po’ più amico dei
senegalesi, loro sudano sotto al sole proprio come lui, e lui ha qualcosa da
condividere con loro: andrà da loro la prossima volta, starà nella stalla dove
stanno loro anche di sabato, e saprà che c’è qualcosa in più da accennare con
la testa, anche se non ci sono le parole nella lingua giusta per spiegarsi.
Starà lì con loro,
nel buio di quella stalla dove abitano quei musi neri, e c’è quel sudare tutto
il giorno che adesso li accomuna anche di più, e se quando qualche volta ci
sarà da schierarsi da qualche parte, adesso Ernesto sa perfettamente da quale
lato dovrà mettersi.
Bruno Magnolfi
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