Lei
era rientrata in casa aprendo la porta lentamente e quasi in silenzio. Sei tu,
Federica?, aveva detto lui dall’altra stanza. Lei non aveva risposto, però
aveva tolto lo spolverino con una calma accentuata, appoggiandolo semplicemente
su una sedia dell’ingresso. Cosa è successo?, aveva chiesto lui affacciandosi
alla porta che dava sul corridoio e tenendo ancora in mano il giornale aperto
che aveva letto fino allora aspettandola. Non lo so, aveva risposto lei senza
guardarlo; all’improvviso però mi sento stufa di tutto.
Lui
l’aveva osservata quasi incredulo delle parole udite, poi aveva detto in un
soffio: siediti, parliamone, cerchiamo una soluzione. No, aveva detto lei quasi
attraversando la sua persona con uno sguardo freddo e deciso, con una voce
all’improvviso quasi troppo alta. Devo andarmene, non posso fare altrimenti.
Probabilmente solo a quel punto lui aveva avvertito tutta la portata drammatica
e immediata della situazione, così aveva cercato di dire una delle prime cose
che gli erano passate convulsamente nella testa, buttandola lì quasi senza
cercarne propriamente il senso.
Ma
dove vuoi andare?, aveva detto in un soffio; e poi per quale motivo andartene
via, così, su due piedi. Mi dispiace, aveva risposto lei ancora con
freddezza, e intanto con la mano era andata a cercare di nuovo lo spolverino che
le era rimasto accanto, come se tutto quanto c’era da dire, con quelle poche
parole, fosse già stato detto. Devo dare coerenza alle mie idee, aggiunse, e
anche alle mie sensazioni. Accettando ancora questa vita di sempre, mi sentirei
soltanto falsa con me stessa e perfino con te.
Non
riesco a capire, cercava di dire lui quasi imbambolato. Lo so, lo immagino, lo interrompeva
Federica; anche in me per certi versi tutto si snoda d’un tratto in modo poco
comprensibile, però sento che devo fare così, altrimenti non potrò più farlo,
in nessun’altra maniera. Forse è un periodo, azzardò tanto per dargli una
flebile speranza; forse però sopra al mio calendario c’è scritto in questo modo
sulla data di oggi: è il mio giorno giusto per fare certe scelte, ed io non
posso disattenderlo.
Lui
la osservava rivestirsi notando in lei la stessa calma che aveva conservato
fino allora; poi la guardava ancora avvicinarsi alla porta in fondo al loro
ingresso, socchiudere l’uscio, dire ciao già da una distanza quasi incolmabile,
come se quella voce fosse l’eco di qualcosa che era ormai soltanto dentro ai
suoi ricordi. Mosse un passo indeciso verso Federica, ma lei aveva già richiuso
dietro di sé quella porta, e la solitudine improvvisa che pareva d’improvviso calare
in lui lungo il corridoio, sembrava addirittura superiore persino alla forza che
gli serviva per reagire.
Appoggiò
il giornale, si volse intorno per rendersi conto di cosa rimanesse di lei
dentro le stanze. Osservò i mobili, l’armadio, le stampe incorniciate sopra i
muri, un piccolo vaso di fiori secchi sopra il piano di cucina. Infine
raggiunse la finestra, e senza aprirla guardò fuori la strada e il marciapiede
di fronte, simili a sempre, senza un solo accenno di qualche variazione. Tornò
a sedersi immaginando che tutto fosse ancora da accadere: riprese il giornale,
scorse in fretta l’articolo che aveva iniziato a leggere appena poco prima, ma
dopo un attimo si disinteressò di tutto. Forse c’era ancora qualcosa da
salvare, rifletteva; i miei pensieri adesso non possono perdere di logica; ci
vuole forza, ci vuole resistenza, ed io devo pur averne di riserva nascosta in
qualche angolo.
Bruno
Magnolfi
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