Provo
un dolore forte, invalidante, improvviso, dentro l' addome. Mi piego su un
fianco, spengo la luce, stringo le mie viscere con uno sforzo, e dopo un
attimo, nonostante tutto, il buio della stanza torna a darmi la momentanea sensazione
di protezione avvolgente che cerco. Poi esco, indosso uno spolverino che copra la
mia sofferenza e raggiungo la strada. Al parcheggio dei taxi salgo sul primo che
trovo libero e chiedo immediatamente di portarmi in ospedale. L'autista mi
osserva, forse pensa di me che io sia un tossico in preda ad una crisi di
astinenza, in seguito però avvia il motore e ingrana la marcia. Immagino che
tutto quello che vedo e che sento in questi pochi minuti siano le ultime volte
di qualcosa che forse dovrò rimpiangere per chissà quanto tempo, magari anche
per sempre. Il dolore è stabile, qualcosa di terribile sta accadendo sicuramente
dentro di me, ma il panico iniziale sembra quasi che mi stia passando; d’altra
parte sono convinto di fare la cosa più giusta, e questo mi dà subito sollievo.
Dovrei forse telefonare a qualcuno, penso, avvertire gli altri di quanto sta
succedendo, ma è quasi notte e il dolore che provo è così intimo che non saprei
neppure spiegarlo.
Esco
dal taxi, adesso mi trovo nei pressi del pronto soccorso, vedo la luce al neon all’esterno
che lo segnala, mi dirigo da quella parte ed improvvisamente il dolore cessa
del tutto. Vado avanti, c’è una panchina qua fuori, mi siedo. Una signora che
non fa parte probabilmente del corpo medico, mi osserva mentre esce dalle porte
scorrevoli. Aspetto. Lei mi dice che se devo chiedere qualcosa devo mettermi in
coda, ed io alzo una mano lasciando in aria una risposta ambigua che mostra
comunque la mia comprensione. Di fatto non so più cosa fare. Se cerco di
andarmene e il dolore riprende potrei aver perso tempo prezioso. Se entro e mi
faccio visitare non so neppure cosa spiegare ai dottori. Resto seduto, almeno
per il momento.
Arrivano
due autoambulanze quasi in contemporanea, roba grave, escono gli infermieri con
le barelle e gli accorgimenti del caso, io guardo quanto succede e non riesco a
decidere se ritenermi fortunato oppure no. Infine mi alzo, faccio due passi
lungo questi giardinetti male illuminati, poi torno indietro e mi siedo di
nuovo sulla panchina. La signora di prima ancora qua fuori torna a guardarmi.
Le
dico che avevo un dolore incredibile fino a poco fa, ma adesso è passato, quasi
come per un incantesimo. Lei non dice niente, la scelta di starmene qui è solo
mia, lei non vuole interferire nelle mie cose. Penso di chiederle cosa farebbe
al mio posto, e lei, quasi leggesse la mente degli altri, mi dice che forse una
piccola visita da un medico non sarebbe da disprezzare. Annuisco, ma resto comunque
ancora seduto qua fuori.
Infine,
dopo altri dieci minuti, mi alzo, decido di entrare, anche soltanto per dare
un’occhiata alle persone che ci sono là dentro, e come funzioni un servizio
come questo. Le porte scorrono con un lieve fruscio appena mi avvicino, all’interno
c’è gente e le luci sono forti e taglienti, mentre due infermiere in camice
bianco si occupano di qualcosa dietro ad un semplice vetro. Le guardo con una
certa distanza, ma mentre mi volto il dolore ripiglia e non posso far altro che
cadere come uno straccio sul pavimento. Escono in due, mi prendono, mi
sistemano rapidamente sopra una lettiga, io non so più se sono cosciente o mi
sto soltanto immaginando la scena. Si aprono delle porte su un corridoio
bianco, qualcuno dice delle cose vicino a me, ma non sento più niente: sono
nelle mani di qualcun altro, posso perfino rilassarmi, nonostante il dolore.
Chiudo gli occhi, va tutto bene, sono arrivato nel posto giusto.
Bruno
Magnolfi