Se rimango vicino ad una porta non può accadermi niente. Con grande semplicità
è la mia via di fuga, la possibilità che ho di andarmene, filarmene altrove
esattamente quando lo voglio. Non sopporto che qualcuno mi guardi, che si sbircino
le mie espressioni, oppure i miei modi di starmene qui. Socchiudo la porta, mi
sposto, guardo a terra: nessuno può farmi del male. Arriva un tizio e chiede ad
alta voce perché mai io stia ancora lì. Non ci parlo con questo, penso subito
senza spostarmi, chieda pure in giro ad altri quello che vuole.
La porta viene spalancata di colpo per mostrare con evidenza che la mia
postazione è scoperta, il mio rifugio è ormai patrimonio di tutti, quindi potrei
abbandonarla, ma io imperterrito rimango fermo, e mi rannicchio nell’angolo col
muro. Arriva subito la dottoressa che dice con parole pacate che io e lei insieme
dovremmo fare due o tre cose, aggirando così il problema della mia apparente testardaggine.
Non mi faccio fregare facilmente, penso, neppure per i tuoi occhioni e le tue belle
maniere. Voglio stare qui. Poi, improvvisamente, si disinteressano tutti di me
e se ne vanno.
Riaccosto come mi piace la porta con una mano, e proseguo a starne dietro:
sono pronto a scappare, rifletto, immediatamente quando le cose si metteranno
in una certa maniera. L'importante per me è non farmi mai prendere alla sprovvista,
restare attento, pronto a reagire, reattivo a qualsiasi cosa possa accadere.
Torna la dottoressa, ha qualcosa in mano, una siringa. Mi paralizzo, vogliono
fare un automa di me, penso subito, rendermi docile e arrendevole, senza
nessun'altra possibilità. Sbatto la porta, prendo di corsa il corridoio, inciampo,
ma riesco ad arrivare fino in fondo, poi mi appiattisco tra il muro e la prima
altra porta che trovo. Silenzio, sembra che nessuno si muova, forse lasciano
che mi calmi, magari che assapori con maggiore tranquillità il mio nuovo punto
di vista. Non faccio del male a nessuno, penso restando in silenzio, ho tutto il
diritto di starmene qui.
Alla fine la dottoressa, sempre restando ad una certa distanza e con la
siringa sparita ormai chissà dove, dice che non devo intralciare il passaggio,
poi però mi sorride, dice ancora che io sono uno che fa sempre il bravo, sa
stare al suo posto, non ha bisogno di niente anche per capire quali siano le
cose giuste per tutti. Mi piace quando parla così: non riesco a comprendere
però quale problema ci sia nel lasciarmi dietro la porta.
Comunque resto fermo, adesso non ho bisogno neppure di difendermi, mi basta
stare dietro questa porta, ed in questo modo sono sicuro che tutto ciò che
potrebbe avvenire sarà presto svanito, dissolto, ed io in questo momento non ho
affatto paura, anzi sono tranquillo, proprio come se niente potesse davvero
accadermi.
La dottoressa continua a parlarmi mentre due infermieri mi bloccano improvvisamente
da dietro: non è una mossa elegante da parte sua, penso, ma sono arrendevole,
non faccio storie. Tornerò qui, penso, appena la dottoressa avrà finito il suo
turno: mi piazzerò dietro alla porta e poco per volta imparerò come fare a difendere
questa mia posizione; perché è il mio posto, questo, lo sento, avrò sempre più
forza stando qui, e ad un certo punto nessuno potrà più impaurirmi o farmi del
male, neppure se stringe una siringa nella sua mano.
Bruno Magnolfi
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