Non lo so, dice lei al telefono, interpellata con quella chiamata improvvisa da un dirigente
dell’amministrazione pubblica che neppure conosce. Vede, cerca ancora di
spiegare, non mi sono mai preoccupata di cose del genere: non ne so niente,
questo è il punto, e se devo essere del tutto sincera, aggiunge con con un
accenno di sorriso che l'uomo naturalmente non può vedere, non me ne importa
proprio nulla, proprio perché sono cose che non mi riguardano, ecco. Comunque non
sono io che ho parlato per la prima volta di corruzione e di cose del genere,
riflette poi tra sé; è stato il mio collega, che adesso peraltro si è anche
messo in malattia. Sicuramente ha sbagliato, ha usato delle parole improprie,
ha forse detto quelle cose rispondendo soltanto ad un impulso di rabbia, senza
razionalità, senza alcuna riflessione, ed è questa probabilmente tutta la
verità dei fatti.
L’uomo al telefono dice ancora qualcosa di poco
incisivo interrompendo in parte quei suoi pensieri, poi però la saluta
freddamente e quindi riaggancia. Non c'è niente di male, pensa ancora lei,
quando si dice tutto ciò che si sa, senza tenere nascosto proprio niente. Il
fatto è che quando ci si muove su certi terreni risulta anche facile scivolare.
Cercare di fare una cattiveria di quel tipo al proprio capufficio, pur restando
un tipo odioso e sostanzialmente ingiusto con tutti i suoi collaboratori, è
qualcosa che sconcerta: lascia talmente perplessi che diventa facile prendere
addirittura le difese di chi subisce una cosa del genere.
La donna è perfettamente cosciente di non essersi
mai trovata a proprio agio in quell'ambiente, nonostante siano anni che lavora
come impiegata in quegli uffici, senza peraltro avere mai fatto alcuna carriera;
ma non può certo fare a meno di quella sua occupazione, con i problemi
economici che si ritrova, e cosi deve andare avanti come sempre, e proseguire
alla meglio, cercando in ogni caso almeno di non far peggiorare le cose, ed in
tutto ciò la qualità della sua vita lavorativa risulta quasi un elemento
marginale.
Però non sa neppure che posizione prendere per
quanto concerne la situazione creatasi: sicuramente a breve saranno adottati
dei provvedimenti, qualcuno nei giorni a seguire indagherà ulteriormente, e quindi
faranno ancora delle domande, e poi supposizioni, e lei dovrà sempre cercare di
non cadere mai in contraddizione, qualsiasi cosa le chiederanno. Forse le
converrà prendere addirittura le difese del suo superiore, probabilmente, anche
se soltanto un’idea di quel genere le risulta al momento quasi insopportabile.
Torna a suonare il suo telefono sopra la
scrivania: ancora qualcuno dell'amministrazione, probabilmente, pensa lei,
forse hanno già aperto un'inchiesta interna; e difatti è una donna, adesso, che
si qualifica subito con grandi titoli ma con molta gentilezza, e poi dice che vuole
soltanto sapere se si sono mai viste delle persone estranee all'ufficio
circolare da quelle parti. Lei dice di si, certamente, ci sono stati periodi in
cui è arrivato sicuramente qualche personaggio mai visto prima, ma forse è
normale, aggiunge quasi con slancio, pentendosi però immediatamente di aver
detto così. L’altra le chiede cosa ci sia di normale nell’approfittarsi di una
buona posizione lavorativa, ma lei non sa spiegarlo, così si impappina e alla
fine resta in silenzio. Vorrebbe piangere mentre l’altra le dice con molta
serietà che passerà di persona dal suo ufficio, ma proprio mentre sta
riattaccando la sua cornetta, le viene da dire d’impulso: venga pure, dottoressa,
io tanto non ho paura di lei; e se proprio vuole saperlo, non ho neppure paura
di rassegnare adesso le mie dimissioni, visto che qui forse ci sono soltanto per
sbaglio, ed in questo mestiere non sono mai stata apprezzata.
Bruno Magnolfi
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