Lui quel giorno
veniva a trovarti, nel tuo piccolo appartamento in affitto, e quella sarebbe
stata la sua ultima volta. Quando ti aveva conosciuta, eri separata da tuo
marito soltanto da un anno o poco più, e in fondo avevi reagito abbastanza bene
alla profonda negatività della situazione. Qualcuno che conoscevi da lunga data
aveva messo su un minuscolo bar per uffici tutto per te, dove avevi iniziato a
fare caffè e a servire aperitivi, trascorrendo tutti i pomeriggi feriali tra le
chiacchiere e le battute di spirito degli impiegati che venivano da te.
Naturalmente in quel periodo quasi ti buttavi via, cambiando cavaliere in
pratica ogni sera, e tirando tardi quasi ogni notte nella ricerca spasmodica di
dimenticare tutto il tempo trascorso a cercare di costruire una famiglia.
Ridevi molto dentro a
quegli abiti ridotti ed aderenti; fingevi sempre di divertirti in quel periodo,
e forse ci riuscivi. Poi era arrivato lui, più serio, pensieroso, giungendo nel
locale per puro caso. Era entrato nel tuo bar assurdo, piccolissimo, al primo
piano di quel grande palazzo pieno di uffici, osservando a lungo il tuo sorriso
ed anche i tuoi modi di persona così tanto presente da essere distante. Te lo
aveva chiesto con cortesia il giorno successivo, quando era tornato, per poi iniziare
ad uscire qualche volta insieme a te, con naturalezza, aspettandoti di sotto,
lungo la strada, all’ora di chiusura degli uffici e del tuo locale.
Adesso era arrivato
fin lì in un gran silenzio, solo telefonandoti qualche giorno prima per
quell’appuntamento, e ti aveva portato qualcosa, un sottile braccialetto senza
valore che avevi dimenticato chissà quando dentro la sua macchina. Forse quella
era soltanto una scusa, un motivo per vederti un’altra volta. Tu eri rimasta un
po’ in silenzio, con il tuo solito mezzo sorriso stampato sulla faccia, poi gli
avevi fatto una domanda generica su come gli andavano le cose. Lui si era
accostato alla finestra, forse chissà, per cercare di ricordarsi di qualcosa, oppure
per stabilire dei punti fermi nel cielo notturno della città. Era stato allora
forse che erano partite le strisciate di luce verso oriente, come gruppi di
stelle che si fossero mosse contemporaneamente da un lato all’altro. Tracce di
aeroplani velocissimi che avevano rigato il cielo notturno lungo traiettorie
rettilinee, e fuochi d’artificio immensi e lontani, mai visti prima, che
avevano illuminato tutta l’atmosfera e i suoi vapori poco sopra
l’orizzonte.
Tu non ti eri accorta
di niente, lui ti aveva chiamato per mostrarti quanto stava accadendo, ma tu
gli avevi solo sorriso, gli avevi accarezzato un braccio senza dargli retta,
guardando dolcemente il suo profilo. Lui non aveva più insistito, ma era
rimasto ad osservare quanto stesse succedendo fuori da quella tua finestra,
fino a quando non si era girato verso di te, dicendoti semplicemente ciao,
quasi senza impegno, sfiorando la pelle del tuo viso con le labbra, ed uscendo
per sempre dall’appartamento e dalla tua vita. Qualcosa allora ti aveva fatto
reagire, come se un’eco di quelle luci strane in cielo fosse improvvisamente
passata anche dentro te.
Lo avevi guardato
allontanarsi nelle fioche luci del vialetto, da quella stessa finestra dov’era
stato poco prima, ed allora avevi visto anche tu il cielo incendiarsi di
strisce e di colori. Forse avresti voluto chiamarlo, farlo tornare indietro, ma
sarebbe stato tutto inutile, ed anche se ti eri imposta di non piangere,
ugualmente adesso avresti voluto farlo, come probabilmente stava facendo persino
lui, mentre per sempre se ne andava.
Bruno Magnolfi
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