C'è come una presenza inspiegabile nel vecchio magazzino degli attrezzi in
fondo al giardino di casa sua. A lui piace andare là in questa stagione, quando
nel primo pomeriggio oltre la recinzione non si vede proprio nessuno in giro,
ed il sole batte forte sopra al tetto di lamiera, tanto che dentro nel gran
caldo si sente soltanto l’aria asciutta e immobile, ed una mosca o due che
ronzano nell'aria, e poi più niente. Sta lì fermo per un po', come in attesa,
nel silenzio, si guarda attorno lentamente per abituare gli occhi alla
penombra, e poi, dopo lunghi minuti, finalmente eccolo, il primo piccolo rumore
provenire da un angolo zeppo di roba e cianfrusaglie. E’ uno scricchiolio, un
movimento di carte e piccoli oggetti, ed arriva sempre insieme come ad un
frusciare di stoffa, forse di vestiti.
Potrebbe essere un topo, pensa, o un grosso insetto, ma a lui piace
immaginare qualcosa di diverso, anche perché quei rumori dopo un po’ si fanno
radi e insoliti, quasi il blando eco di minuti e ordinari movimenti come di una
persona probabilmente abitudinaria. O almeno lui qualche volta crede questo,
comunque sia, senza neppure cercare di smontare troppo questi suoi pensieri.
Ascolta, ed è come vedesse davanti a sé la sagoma di qualcuno che sta lì, nella
penombra, in piedi, e forse muove lentamente una gamba, poi appoggia sull'arto
tutto il peso del suo corpo, infine tocca qualcosa con la mano, mentre lascia
l’altra infilata in una tasca.
Passa un amico da casa, per combinazione, e lui lo porta con sé nel suo capanno,
rispondendo probabilmente ad una forte voglia di spiegare, o forse di
confidarsi con qualcuno. Stanno immobili, ambedue, ed i rumori non si fanno
neppure troppo attendere, dopo che le prime gocce di sudore imperlano le loro
fronti. L'amico dice che secondo lui dovrebbe mettere una trappola, c'è
sicuramente un piccolo animale da qualche parte, ma lui sorride, nervoso, dice
che no, non è così, anche se l'altro insiste. Ascolta, ascolta bene, fa ancora
lui. Un fantasma abita qui dentro.
L'amico ride, e lui si arrabbia; porgi le orecchie attente, dice ancora, e
intanto gli abbassa la testa mettendogli una mano sopra al collo. L'altro si china,
ma è infastidito, vorrebbe quasi andarsene, poi cerca di scansare quella mano
con una mossa svelta, poco arguta, ma lui comprende il tentativo e lo pigia
ancora di più, a mostrargli netta la propria volontà e ciò in cui crede.
L'amico a quel punto scivola, o forse perde l'equilibrio, allunga una mano
svelto, ma non ce la fa a riprendersi, e allora sbatte su un attrezzo, e alla
fine cade lungo disteso con un grosso taglio nella testa. Sangue, lui non
riesce a sopportare quello che all’improvviso sta proprio capitando, quella
situazione così inattesa, ed i rumori che adesso sono anche maggiormente
intensi di qualsiasi altra volta, mentre tutto trema e sta come sfuggendo a
qualsiasi comprensione, così come il suo amico che sembra assurdo mentre si
lamenta e contemporaneamente impreca contro di lui, contro quelle sue stupide
manie.
Lo colpisce duro con la prima cosa che si ritrova tra le mani: come si fa a
non capire tutto questo, dice forte, come si può essere cosi miopi. L'amico
giace a terra, tramortito, i rumori intorno sono fortissimi, a lui pare quasi
sia già scesa la sera, sia già buio fuori da quel suo magazzino abbandonato, ma
si riprende, si guarda attorno, non ha paura, allunga il braccio, aiuta il suo
amico a rialzarsi, a rimettersi in piedi: via, gli dice, usciamo subito da qui;
va tutto bene, andiamo in casa a medicarci, tutto è già finito, tra poco non ci
ricorderemo neanche più di questi fatti, domani forse sarà un giorno qualsiasi,
non avremo neppure un debole ricordo di tutto questo, niente, assolutamente,
perché domani tutto probabilmente sarà già stato cancellato dalla nostra mente.
Bruno Magnolfi