Ci
sono certe volte che mi piazzo fermo lungo la strada ad osservare le persone
che passano da queste parti. Mi sembrano generalmente tutte impegnate in
qualcosa, come se avessero da sbrigare degli affari importanti. Io normalmente non
ho niente da fare, se non immaginare delle altre persone che stanno già
aspettando queste qua, e che nell’attesa osservano il loro orologio, si muovono
nervosamente, riflettono seriamente sul dubbio di starsene o meno soltanto
sprecando dei minuti preziosi. Poi si salutano, giusto due parole di
circostanza, e subito dopo vengono al sodo, intavolano immediatamente le
motivazioni che li hanno spinti fin lì, si affannano anzi a spiegare
interrompendosi a vicenda quanto hanno da dire. Parlano, vanno a gruppi di due
o tre a prendersi un caffè dentro un locale, e si sorridono, sono perfettamente
a loro agio, sicuri di loro stessi e di essere persino vestiti in maniera
adeguata a quell’occasione.
In
seguito io riprendo il mio bastone, mi alzo con calma dalla panchina,
ricomincio come sempre a camminare claudicando dolorosamente per andarmene
chissà dove. Forse di questo bastone potrei anche fare a meno, ma credo mi dia
un tono, una personalità, e lo preferisco, piuttosto che zoppicare vistosamente
come per un’improvvisa distorsione ad una caviglia o per un taglio doloroso
procuratomi chissà come sotto ad un piede. In questo quartiere sono per tutti
lo zoppo, ed in molti riescono a sopportare la mia vista senza neppure
sorridere, altri al contrario mi guardano con un briciolo di pena, ed altri
ancora mi ignorano del tutto, nonostante io faccia qualsiasi cosa affinché si
noti la mia disabilità.
Ho
anche degli amici, o meglio delle conoscenze, che mi salutano chiedendo sempre
come mi vada. Danno un’occhiata distratta alla mia gamba offesa, ma credo non
si riferiscano a quella, quanto alle piccole cose delle quali sanno che amo
occuparmi. Dipingo, questo è il punto, o meglio compongo dei minuti disegni in
bianco e nero, quasi microscopici a volte, in cui cerco di raffigurare la
realtà che riesco a vedere. Prendo dei brevi appunti, degli schizzi a matita, e
quando torno a casa invece uso dei pennini speciali che mi permettono di
elaborare complesse linee sulla grana della carta, organizzando una specie di
francobolli che devo dire hanno anche un certo successo. Ma in fondo questo è
solamente un mio passatempo.
Anzi, la mia
vera attività ritengo sia quella di perdere tempo. Per questo aumento in ogni
mia espressione il dolore che provo nel camminare, proprio per permettermi di
rallentare, di fermarmi spesso, di impiegare una grande quantità di tempo per
affrontare brevi spazi di marciapiede. Certe volte qualcuno che neppure conosco
mi chiede di lasciarmi aiutare, e allora io mi fermo, tiro su lo sguardo,
sorrido, pur trattenendo un briciolo di quell'amarezza che evidentemente la mia
condizione comporta. Poi rispondo, con un senso di dispiacere, che non importa,
sottintendendo così quanto la gente come me sia destinata solo a soffrire, e
che questo è giusto farlo da soli, senza dividere la pena con altri che in
genere riescono ad assumere in questi casi soltanto un comportamento affettato.
Infine torno a casa, lascio il bastone fuori dalla porta, tiro fuori le mie bozze
ed inizio a tradurle su carta di cotone con i miei pennini alla china. Non so
cosa altro io possa fare, penso quando rimango da solo, se non starmene qui
seduto a riflettere sulle piccole immagini che noto in tutte le persone che
incontro.
Bruno Magnolfi
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