mercoledì 28 settembre 2016

Sfida irrisolta 3.

            
            Mi piace quel tipo, fa lei, non ci posso fare niente. Lo riconosco, forse sono stata un po’ troppo frettolosa nel lasciare che mi accompagnasse fino a casa, dopo averlo conosciuto appena la sera stessa, in quel bar dove peraltro non vado quasi mai. Però stavo bene, mi sentivo a mio agio, avrei voluto stare ancora con lui per chissà quanto tempo, per continuare a scambiare le nostre opinioni su tutto quello che ci veniva a mente, come abbiamo fatto per tutto quel tempo, e anche proseguire, quasi senza limiti. La sua amica davanti alla tazza di caffè la guarda, sorride, scuote la testa: ti brillano gli occhi, dice, ma non farti illusioni, le spiega; chissà perché queste cose, pur così meravigliose, almeno in apparenza, durano sempre lo spazio di un attimo, giusto quello di una serata, e poi non hanno quasi mai un seguito. Può darsi, fa lei, però non costa niente sperarci, provare a lasciare lì un segno, tentare di far accadere qualcosa, come una piccola strada che d'improvviso si apre e che tentiamo di percorrere.
Va bene, dice l'amica cercando di cambiare argomento, in ogni caso tu devi maggiormente impegnarti, uscire di più, non puoi ridurre tutto quanto nell’andare in un bar una volta ogni tanto. Lei riflette, sorride, assume quell'arietta furba che tanto le dona. Hai ragione, dice sorseggiando il suo succo di frutta, ma spesso mi lascio prendere dalla pigrizia, dal bisogno di starmene a casa, anche da sola, tra le mie solite cose, disinteressandomi quasi di tutto ciò che succede al di fuori da qui. Poi in fondo capita di rado di trovare una persona per cui valga la pena essersi vestita di tutto punto, truccata, sistemata i capelli, e poi anche il resto.
Loro due sono sedute al tavolo di cucina, vicino alla finestra luminosa che si affaccia su un cortile anonimo. Dopo una pausa di silenzio lei fa un piccolo sorriso. Cosa c'è, chiede l'amica, ti sei ricordata di qualcosa di buffo? Non è questo, fa lei, devo solo confessarti una cosa. So benissimo che dare un seguito a certe serate è complicato, così ho agito d’astuzia, anche se non sono del tutto sicura che potrà funzionare. Mi sono tolta un orecchino prima di lasciarlo andar via, senza che lui si accorgesse di niente, e al momento dei saluti l’ho lasciato scivolare dentro ad una sua tasca. Non è d’oro, è di poco valore, però ad una prima occhiata lo sembra, e siccome è formato da un ciondolo strano, molto particolare, sono sicura che lui quando lo troverà si sentirà in dovere di restituirmelo. Così mi farò rivedere in quel bar, almeno qualche volta in questi giorni; il resto chissà.

Bruno Magnolfi


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