Amico, adesso sei fritto, gli dico mentre tengo una mano
dentro la tasca e con l'altra lo indico con decisione, come per evitare
fraintendimenti. Lui si piazza di fianco, gli occhi bassi, come ad evitare di
guardarmi, forse per la paura che di certo gli sto facendo, anche se poi alza
la testa e dice: non preoccuparti per me, me ne stavo giusto per andare. Va
bene, gli faccio, in fondo è semplicemente quello che volevo. Forse non hai
capito, dice subito lui; vado via soltanto perché mi va così, non certo per
rispondere ai tuoi desideri. D'accordo, fo io sorridendo, però il risultato non
mi sembra molto diverso. Segue una pausa in cui lui si interessa di qualcosa
che sembra luccicare sul marciapiede davanti al locale. Oggi peraltro è anche
il mio giorno fortunato, mi fa: ecco qua un ciondolo di metallo prezioso che
chiede soltanto di essere preso da me. Io lo osservo con un certo sospetto
mentre lui si china per raccogliere quella cosa, e mi pare subito come una nota
stonata quel colpo davvero così fortunato. Perciò gli dico con determinazione
che deve lasciare il ciondolo dove si trova, ma lui lo rigira per un attimo
nelle mani grassocce, e poi lo va ad infilare nella sua tasca. Perché, mi fa,
hai qualcosa in contrario? Vorrei tirar fuori in un attimo tutto ciò che in questo momento mi si agita dentro, ma
non riesco a trovare alcuna parola che possa descrivere il mio stato d’animo,
tantomeno posso acciuffare degli argomenti in grado di farlo minimamente
desistere dal suo comportamento, così non mi resta che rimanere in silenzio,
immobile, con lo sguardo ancora arrabbiato, come se fosse sufficiente a
spiegargli almeno cosa penso di lui.
Poi se ne va veramente, senza alcun altro cenno,
lasciandomi lì a sbollire da solo la mia agitazione. Rientro dentro al caffè, mi
avvicino al bancone, chiedo al cameriere se per caso qualcuno abbia cercato di un
ciondolo, di un amuleto, forse anche di un semplice portafortuna, ma quello fa
solo cenno di no, senza chiedermi nessuna spiegazione. Mi siedo con la mia
birra davanti, e cerco di pensare qualcosa che serva a svagarmi, ma dopo un
attimo ecco che torna il tizio di prima. Fa finta di non avermi neppure notato,
ma poi con tutta la calma del mondo si accosta al mio tavolo, e dopo un attimo
di ulteriore tentennamento mi dice che dentro a questo ciondolo che adesso
tiene nella sua mano, c'è un nome inciso, e che lui vorrebbe proprio restituirlo
al legittimo proprietario.
Gli dico che per me va benissimo, non ci sono problemi,
ed anzi, è esattamente quello che ho cercato di dirgli fin dall'inizio, ma il
problema di adesso è che nessuno lo ha reclamato. Lui girella su se stesso
senza trovare alcuna soluzione, io tento di ignorarlo, visto che in questo
momento il problema è suo e di nessun altro. Poi fa qualche passo verso
l’uscita, lo seguo con uno sguardo il più possibile obliquo, e infine, quando è
già sulla porta, mi alzo dal tavolo e vado verso di lui. Sta fuori, sul
marciapiede, io lo fisso attraverso la vetrata, e non sa decidersi a fare
proprio un bel niente. Vorrei forse indicargliela io una soluzione, ma in fondo
rifletto che non sono di certo affari che mi riguardano, e che in questo stallo
lui c’è andato ad infilarsi da solo. Alla fine si abbassa, riappoggia quel
ninnolo esattamente dove lo ha trovato, e con una certa lentezza decide di
andarsene. Ha fatto la cosa migliore, penso restando dove mi trovo; anche se forse
sarei disposto fin d’ora a dirgli con sincerità che ha invece sbagliato su
tutta la linea.
Bruno Magnolfi
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