Forse ho sbagliato a
dire così a mia madre, ho pensato subito dopo averle spiegato praticamente che lei
non avrebbe dovuto più entrare
nell’organizzazione delle mie giornate. Probabilmente però affiora dentro di me
in certe occasioni quel carattere brusco che
credo peraltro di aver ereditato proprio da lei, e che mi è sempre parso
orribile in chiunque. Ma è stato come un segnale che le ho voluto lanciare,
qualcosa che stesse a significare che oramai sono più che adulta, so camminare perfettamente sopra le mie gambe, non ho più
tanto bisogno delle sue opinioni sempre un po’ sprezzanti.
Ho guidato per i tre
chilometri fino
al Borgo, ed ho parcheggiato la macchina lungo la
strada principale, dove la metto quasi sempre, proprio di fronte alla merceria,
prima di aprire con calma la serranda del mio negozio ed entrare in mezzo a
tutti i silenziosi articoli da cucito e abbigliamento. Anche se oggi siamo
chiusi al pubblico vorrei riconsiderare con
calma le cose da sostituire nell'arredamento interno, e lo voglio fare
ponderando bene ogni scelta, senza avere nessuno intorno ad influenzarmi. Ho
riabbassato la serranda da dentro, e poi sono rimasta lì, guardandomi attorno e
prendendo degli appunti completati da qualche piccolo schema.
Dopo una mezz’ora stavo
poi per
chiudere e ritornare verso casa, quando ho sentito qualcuno che mi chiamava
debolmente dalla strada. Ho chiuso allora la porta alle mie spalle, ho
fatto scattare la serratura con la mia chiave - non si sa mai -, poi mi sono voltata. C’era Renato lì accanto, fermo, con le
mani nelle tasche, la faccia di chi non sa proprio cosa farne della sua
giornata. L’ho salutato, lui mi ha fatto una domanda su qualcosa di generico,
io mi sono guardata velocemente attorno, come per mostrare una fretta che in
realtà non avevo affatto. Non ti sei più fatta vedere, ha detto lui.
Sono molto indaffarata come vedi, gli ho risposto. Certe volte bastano anche
cinque minuti per mantenere dei contatti, ha detto lui in modo secco. L'ho
guardato sorridendo, come fosse una risposta, poi con le chiavi in mano mi sono
mossa lentamente in direzione della macchina. Lui mi è scivolato accanto come
per accompagnarmi lungo quei pochi metri, ed io allora gli ho detto che forse
sarei passata dalla piazza durante la settimana entrante. Lui ha annuito mentre
io salivo in auto ed infilavo la chiave nel cruscotto.
Poi senza dire più nulla ho avviato
il motore dopo aver chiuso lo sportello, e lui è rimasto lì a guardarmi mentre
armeggiavo con il cambio quasi senza decidermi a partire. Non sono tranquilla,
ho pensato subito, qualcosa sembra andare storto anche se non vorrei. Gli ho
fatto un cenno distensivo con la mano, ma forse il mio nervosismo era ormai
evidente. Mi sono allontanata pensando che sia Renato che tutti gli altri ragazzi
certamente non mi avevano fatto mai niente di male. Forse adesso però li
sentivo lontani, come fossero piccoli, mentre io cercavo di essere già donna. E
poi però c’era Tommaso nella mia mente, che probabilmente in questo momento era
in casa sua a studiare, a costruirsi un futuro, a guardare avanti a sé, non
come loro che continuavano a vivere troppo alla giornata. Poi sono rientrata a
casa dalla mia mamma, quasi senza esserne però troppo contenta.
Bruno Magnolfi
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