Da qui alla fermata della corriera ci vogliono appena venti minuti camminando con un passo
veloce, ma quando sono in ritardo questo tratto di strada mi ritrovo ad
affrontarlo quasi interamente di corsa,
nonostante sia tutto in leggera salita, anche se non mi piace per nulla entrare
nel mezzo pubblico col fiato grosso e i muscoli delle gambe già indolenziti.
Preferisco di gran lunga prendermela comoda, e farmi la strada con calma, anche
se questo vuol dire alzarsi dal letto più presto al mattino, e chiudere
alle spalle la porta della mia casa, ad un chilometro circa dalla fine dell’abitato, ancora col
buio, molto prima che albeggi. Certe volte penso che il momento più bello di
tutta la mia giornata sia proprio quando arrivo nella piazzetta esattamente
all'ora giusta, senza essermi per nulla sforzato lungo il viottolo che da casa
mia porta al paese, quando riesco così a salire con tutta calma quei piccoli gradini
della corriera, ed anche a salutare l'autista mentre sta già fumando come
sempre una delle sue prime sigarette del giorno, e dare un saluto
cortese a quelle tre o quattro persone che stanno già
dentro comodamente sedute in attesa della partenza.
La
sera, quando infine rientro nello stesso cascinale che ho lasciato al mattino,
dove con i miei genitori e la mia sorella minore abito da sempre, i momenti che
ricordo con maggiore piacere di tutta la giornata lavorativa trascorsa, mentre proseguo
a mangiare qualcosa seduto alla tavola della cucina, sono proprio quelli che ho
provato sopra quel mezzo pubblico. “C’era il Pieri oggi a guidare”, dico a mia
madre che mi guarda curiosa; oppure, “c’era parecchia gente sulla corriera,
tutte le donne che stamani stavano
andando al mercato rionale del venerdì”; o anche, “mi ero quasi addormentato stamani
sul mio sedile, a un certo punto”. Il paese dove abito è piccolo, non c’è quasi
niente, di qualsiasi cosa possa avere bisogno la gente che abita qui, deve
prendere per forza quella corriera e andarsene con pazienza fino in città. Io
invece ci vado ogni mattina per lavorare: sono un commesso di un grosso negozio
di ferramenta, e il mio padrone è un vecchio amico del babbo, uno che da
ragazzo abitava anche lui nel nostro paese. Ma tra gli scaffali e il bancone
non succede mai nulla di nuovo, e i tanti clienti che passano da lì alla fine
sono sempre i medesimi, e pongono sempre le stesse domande. Non mi lamento,
questo no, non ne avrei alcun motivo; soltanto dico che alla lunga questo è un
lavoro indubbiamente noioso, ripetitivo, in cui comunque c’è da tenere a
memoria una quantità innumerevole di articoli in vendita, e soprattutto la loro
esatta collocazione sugli scaffali, oltre naturalmente a conoscere bene la
quantità sterminata di problemi che tutti quegli oggetti hanno la capacità di
risolvere, ognuno per proprio conto.
Il
vecchio proprietario oramai dentro al negozio lo si vede soltanto per qualche
ora al giorno, quando c’è l’afflusso maggiore di clientela; il resto lo
portiamo avanti noi commessi, cercando di non sbagliare mai nulla con i nostri
consigli ed in tutto quello che proponiamo alle persone quando ci viene chiesto
un parere per risolvere un guaio. Mio padre ha voluto che andassi via dal
paese, “qui non c’è niente da fare per te”, mi ha detto secco tanti anni fa
mentre lui si occupava della stalla, accudendo gli animali nel campo dietro la
casa. Ero un ragazzo, non ci sapevo fare con quelle cose che per lui tornavano
così naturali, e quindi gli detti ragione, abbassai la testa e gli lasciai fare
le scelte che reputava più giuste per me. Forse non pensava che sarei rimasto
sempre e comunque fedele al paese, e che non avrei cercato di farmi troppe
amicizie in città. Forse avrebbe voluto mandarmi via da questo posto, dalla
campagna e da queste colline, per il mio bene sicuramente, anche se io fin da
subito restai innamorato, proprio come lo sono anche adesso, del dondolamento
insostituibile della corriera sul tratto di strada tutto curve che mi riporta dolcemente
fin qui.
Bruno
Magnolfi
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